Solo l’8,2 per cento delle imprese italiane ha adottato l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro, mentre si continua a investire troppo poco in aziende innovative e settori strategici chiave. Numeri e raccomandazioni dall’ultimo rapporto Ue sullo stato del decennio digitale
Entro il 2030 solo il 60 per cento delle aziende italiane avrà adottato sistemi avanzati di intelligenza artificiale, contro una media europea del 75 per cento. È quanto emerge dal nuovo rapporto della Commissione europea sullo stato del decennio digitale 2025, in cui si evidenzia la necessità di azioni urgenti e coraggiose per raggiungere gli obiettivi di trasformazione digitale previsti dalla stessa Ue entro 2030. Di fronte a mercati frammentati e normative eccessivamente complesse, osserva il report, le sfide sono molteplici. Vale per tutti gli stati membri, e in particolare per l’Italia, in cui 9 cittadini su 10 ritengono fondamentale mitigare la diffusione delle fake news e della disinformazione online, mentre il 73 per cento degli intervistati auspica una maggiore digitalizzazione dei servizi pubblici.
I progressi, per il nostro paese, non mancano. Soprattutto nell’ambito delle infrastrutture digitali e dei servizi pubblici digitali: rispetto alla precedente rilevazione, l’Italia ha migliorato la copertura di rete in fibra, raggiungendo una copertura del 70,7 per cento e allineandosi alla media Ue. Il nostro paese, sottolinea il report, dimostra volontà di leadership nel campo di tecnologie critiche come semiconduttori e calcolo quantistico. Guardando agli indicatori chiave, inoltre, la distanza dai target europei si è decisamente ridotta rispetto alle rilevazioni del 2023 su tutte le voci, meno che una: l’intelligenza artificiale, in cui siamo ancora lontani dell’89 per cento dal raggiungere gli obiettivi Ue.
L’anno scorso il distacco era del 93 per cento, segno che qualcosa si muove, seppure troppo lentamente. Ecco perché da Bruxelles si consiglia di “intensificare gli sforzi per acquisire una posizione di leadership nel settore dell’intelligenza artificiale, sfruttando anche i centri di competenza e capacità esistenti, anche nel settore del supercalcolo”. Per adesso, sebbene la maggior parte delle Pmi italiane (70,2 per cento) abbia raggiunto almeno un livello base di intensità digitale, solo l’8,2 per cento delle imprese italiane ha adottato l’AI. L’anno scorso il dato si fermava al 5,1 per cento, ma la media Ue è del 13,48 per cento. Se poi guardiamo alle dimensioni, emerge che per le piccole e medie imprese la percentuale si abbassa al 7,74, mentre per quelle più grandi si arriva al 32,5 per cento.
Complessivamente, l’Italia ha affrontato il 69 per cento delle 13 raccomandazioni formulate dalla Commissione per il 2024, accelerando sia su tecnologie quantistiche che i semiconduttori. Tutti gli obiettivi sono in linea con quelli europei per il 2030, a eccezione proprio dell’adozione dell’intelligenza artificiale e dell’analisi dei dati, per la quale – lo dicevamo all’inizio – l’Italia punta a raggiungere il 60 per cento di adozione entro il 2030, anziché il 75 per cento.
C’è ancora tanto da fare anche sul versante delle nuove realtà imprenditoriali. L’ecosistema delle startup e scale-up innovative, infatti, resta poco sviluppato: attualmente gli unicorni italiani – quelle aziende innovative con una valutazione di mercato di almeno 1 miliardo di dollari – sono solamente nove (uno in più rispetto allo scorso anno) mentre l’obiettivo nazionale per il 2030 è almeno di 16. Ciò si deve agli ancora troppo bassi investimenti in ricerca e sviluppo e al sottodimensionamento del venture capital, specialmente sul comparto Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), ambito su cui l’Italia presenta ancora pochissimi professionisti specializzati. Sulle tecnologie avanzate, infatti, Francia e Germania hanno speso nel 2023 il 28 e il 20 per cento, mentre Roma solo il 15. Un analogo squilibrio sul settore del venture capital è stato rilevato da Bankitalia ad aprile in un suo paper, secondo cui nel triennio 2021-23 gli investimenti nel mercato del Vc italiano sono stati appena un quinto di quelli di Francia e Germania. “Le barriere normative ostacolano l’espansione e la competitività del mercato italiano del venture capital”, spiega il report della Commissione, secondo cui la legge fallimentare italiana “impone sanzioni severe agli imprenditori in caso di fallimento, scoraggiando l’assunzione di rischi”. Per Bruxelles, il risultato finale “non riflette le dimensioni dell’economia italiana”, da qui l’invito a promuovere l’innovazione nelle tecnologie digitali “supportando l’ecosistema nazionale, dalla ricerca/università ai centri di trasferimento tecnologico” e “valutando incentivi per i settori strategici chiave”.
La base su cui costruire ciò che manca è abbastanza solida: la digitalizzazione dei servizi pubblici è progredita, aumentando l’interoperabilità e la fruibilità. Fra i progetti più significativi c’è l’implementazione dell’IT-Wallet, un portafoglio digitale che permette di conservare documenti digitali come tessera sanitaria e patente direttamente su app. Tuttavia, solo il 45,8 per cento della popolazione possiede competenze digitali di base, “con lacune che riguardano in particolare le persone con livelli di istruzione più bassi, ma anche i giovani”, si legge nel documento. Ecco perché serve “rafforzare le opportunità di formazione e i servizi di supporto per tutte le fasce della popolazione”, oltre che potenziare l’istruzione sulle competenze digitali nelle scuole e “incentivare la riqualificazione e l’aggiornamento dei lavoratori”.