La sposa incatenata è un romanzo psicologico avvincente, ricco di suspense e di continui colpi di scena. Tradotto dall’yiddish da tre esperti di assoluto valore
“Sulla strada del ritorno, il cantore dice a Merl di chiamarsi Kalman Maytes. Di professione fa l’imbianchino, ma negli ultimi tempi non c’è lavoro. (…) Ha sentito le donne dire che è sola. Le vuole chiedere dov’è suo marito… Non è tornato dalla guerra? La guerra ormai è finita da così tanti anni, perché non va dai rabbini a chiedere il permesso di risposarsi? Lui è vedovo già da diversi anni e non può più sopportare la solitudine”.
A partire da La moglie del rabbino (2019) Giuntina ha dato il via alla pubblicazione in Italia delle opere del grande scrittore ebreo lituano Chaim Grade. Nato a Vilna in una famiglia ortodossa, Grade si sottrae alla soffocante rigidità del suo ambiente e prende parte attiva al processo di secolarizzazione del mondo askenazita. L’intera sua famiglia è soppressa nella Shoah, lui si salva in Unione sovietica. Successivamente emigra negli Stati Uniti, dove diviene uno dei più importanti autori di letteratura yiddish del Ventesimo secolo.
Dopo Fedeltà e tradimento (2021) ora è la volta di La sposa incatenata, romanzo bellissimo, avvincente, ricco di suspense e di continui colpi di scena. E’ la storia di una tipica disputa rabbinica, infinita e tormentosa, che finisce per sconvolgere, in un crescendo drammatico, l’intera comunità ebraica di Vilna, la “Gerusalemme del Baltico”.
“Non voglio entrare in questo genere di congetture domestiche – replica con rabbia rov Levi – Io mi attengo alla legge. L’opinione di rabbi Eliezer di Verdun è minoritaria. E la legge non la segue, poiché i pilastri della dottrina rabbinica sono contro di lui. E anche il giudice della via Polotsk è solo contro l’intero consiglio rabbinico di Vilna”.
Quella fra il più autorevole rabbino della città, che si oppone dogmaticamente, e il più modesto giudice del quartiere in cui abita Merl, che le concede il permesso di risposarsi mosso da compassione, non è la sola antinomia che attraversa il romanzo. Vi è anche quella, assai più moderna, fra una donna operosa, dal carattere aperto e solare, e l’odioso Morits, corteggiatore villano e sempre respinto, che tramuterà il suo scorno in gelosia, invidia e desiderio di vendetta.
Merl potrebbe infischiarsene dei rabbini e sposarsi laicamente, ma non vuole dare un dispiacere alla sua anziana madre, né vuole ritrovarsi in un matrimonio pessimo e infelice come quello delle due sorelle. A causa dell’ambiente rigido e tradizionalista che la circonda, la donna si ritrova “incatenata”, cioè invischiata in una serie di regole assurde. Così lo scontro religioso interno al rabbinato si inasprisce e si estende.
“Rabbi, abbiate pietà di voi stesso, di vostra moglie e dei vostri figli, e fate ciò che i rabbini vi chiedono – Merl a stento rimane in piedi, vorrebbe gettarsi a terra e abbracciare le ginocchia di rov Doved – Mi sono separata da mio marito e non intendo sposarmi con nessun altro. Ero un’agunà e tornerò a esserlo”. “Non vi ho dato il permesso per farvi un favore, ma perché così dice la legge della Torà”, è la replica del rabbino alla donna.
La calunnia comincia a serpeggiare fra gli ebrei di Vilna e si trasforma in un fiume in piena. Il popolino si lascia abbindolare, la gelosia rode l’anima, anche le persone più pure perdono la reputazione. Nell’incalzare degli avvenimenti, la commedia si trasforma in dramma, il dramma in tragedia.
La sposa incatenata parla di un mondo antico e scomparso, ma è anche un romanzo psicologico, di eccezionale modernità proprio per la capacità dell’autore di scavare nell’animo dei protagonisti, alla ricerca di pensieri fra i più inconfessabili e reconditi. Un libro incentrato sul difficile rapporto fra ebraismo e modernità, tradotto dall’yiddish da tre esperti di assoluto valore. Pochi anni dopo gli avvenimenti romanzati da Grade, gli ebrei orientali e le loro tradizioni millenarie saranno espulsi dall’umanità, brutalmente e per sempre.