“La vita è una partita da giocare tutta”. Intervista ad Andrea Carnevale

L’ex attaccante del Napoli dello scudetto racconta la sua storia da film: “Ho sempre trovato la forza dentro di me”

La vita di Andrea Carnevale sembra un romanzo. Una madre persa troppo presto, uccisa dal marito in un dramma familiare rimasto a lungo nascosto. Un’infanzia segnata dalla povertà, poi il riscatto attraverso il calcio, fino a raggiungere la Serie A e vestire la maglia della Nazionale. Una storia intensa, fatta di dolore e rinascita, che l’editore 66thand2nd ha deciso di raccontare in un libro scritto con Giuseppe Sansonna.

Partiamo proprio dal libro: “Il destino di un bomber” racconta la sua carriera in modo profondo e anche personale. Qual è il ricordo più forte che si porta dietro dei suoi anni a Napoli?

“Sicuramente il 10 maggio 1987, il giorno dello scudetto. È stato il giorno più bello della mia vita, il primo scudetto della storia del Napoli, il primo scudetto di Andrea Carnevale. Sognavo fin da bambino di vincere uno scudetto. In quella occasione lì ho pensato ‘cavolo, ce l’ho fatta, sono diventato un bravo giocatore di Serie A’”.

Ha vissuto lo spogliatoio del Napoli di Maradona: come si conviveva con un genio così grande e così particolare?

“Nessuno si può permettere di parlare male di Maradona. Io ho vissuto quattro anni con Diego… anche se non veniva agli allenamenti, anche se qualche volta si presentava alle partite appena un’ora prima dell’inizio (è capitato anche questo) nessuno storceva il naso. Il gruppo di allora lo accoglieva con grande amore. E poi era buono. Credimi, io ho vissuto con lui anche qualche marachella fatta insieme, ma era davvero un ragazzo dolce, di una bontà unica. Manca a tutti. Era una presenza costante tutte le volte che tornava in Italia. Quando Raffaella Carrà chiamò Diego a prendere parte alla trasmissione Carràmba! Che sorpresa [1998] tutti noi ex compagni di squadra siamo andati lì, sapevamo che stava passando un brutto periodo in quel momento e abbiamo voluto dargli affetto, perché lo meritava”.

A proposito del calcio di oggi: quanto è cambiato il ruolo dell’attaccante da quando giocava lei a oggi? Si rivede in qualche attaccante attuale?

“Ormai si gioca a una punta sola. Io mi rivedo un po’ in Lucca. Non ci sono però più tanti attaccanti in giro, manca il Vieri della situazione, l’Andrea Carnevale. Si sono trasformanti, non sono più attaccanti vecchia maniera. Prime punte come quelle di una volta io ne vedo pochissime in giro”.

Ha giocato anche in Nazionale i Mondiali del 1990. Come ha vissuto quell’esperienza? E cosa pensa della Nazionale di oggi?

“Tengo a precisare che la mia convocazione arrivò a furor di popolo. Stavo bene e segnavo gol decisivi, avevo vinto lo scudetto del 1990 e non ero convocato. Una domenica feci un gol al San Paolo e venne esposto uno striscione con su scritto ‘Carnevale in Nazionale’. E subito dopo Azeglio Vicini mi convocò. Quindi essere andato in Nazionale lo devo anche ai tifosi napoletani. Io mi ero preparato bene per il Mondiale, anche perché avevo già firmato con la Roma, l’Italia avrebbe giocato all’Olimpico e quella sarebbe stata da lì a poco la mia nuova casa. In partenza ero titolare in coppia con Vialli. Purtroppo nella prima gara, contro l’Austria, ho sbagliato due gol. Poi è entrato Totò Schillaci, mio grande amico, mi ha preso il posto (con molto merito) e per me il Mondiale si è rivelato fallimentare, anche perché poi mandai a quel paese Vicini… quindi dall’essere titolare mi sono ritrovato fuori. Quella di oggi è una buona Nazionale, come ha detto Spalletti. Però mancano i veri campioni, con tutto il rispetto per i giocatori attuali… mancano i fuoriclasse”.

Lei ha visto da vicino Maradona, hai seguito Messi e oggi c’è chi già paragona Yamal a questi due. Secondo te è un confronto possibile?

“La fermo subito: Maradona è inarrivabile. Ho grandissimo rispetto per questi grandissimi campioni come Messi (anche lui un genio del calcio), Yamal, Ronaldo, ma Diego era di un’altra categoria. Ogni tanto mi riguardo i gol che faceva: sono di una tecnica sopraffina. Penso al gol su punizione contro la Juventus, a quello che fece a Giuliani a Verona, una cosa incredibile. Io pensavo che mi avrebbe passato la palla, invece tirò in porta e fece gol all’incrocio… Messi non ha mai fatto un gol da metà campo. Diego era un genio assoluto del calcio mondiale”.

Quanto è stato importante rimettersi in gioco anche dopo i momenti bui? E dove ha trovato la forza per farlo?

“La forza l’ho sempre trovata dentro di me. Sono diventato orfano da bambino e credo che quanto mi è accaduto mi abbia dato la forza per diventare ancora più cattivo in campo. Avevo fame, volevo diventare qualcuno, avere un riscatto sociale. Avendo passato quello che ho passato, le varie vicissitudini vissute poi (la squalifica per doping, i problemi con Vicini, una separazione…) sono stato in grado di prenderle nel modo corretto, dando loro il giusto peso. Come dico sempre, la vita è una partita e dobbiamo tutti giocarcela. Io l’ho fatto. Alcune volte ho perso, altre ho vinto ma bisogna andare avanti. Ho sempre pensato che quel bambino povero, diventato orfano, avesse una forza tale da essere in grado di superare tutto il resto”.

Molti ex calciatori diventano opinionisti, allenatori o dirigenti. Lei ha scelto un ruolo più defilato, ma sempre nel calcio. Che contributo può dare in questo mondo oggi?

“Quando stavo per smettere mi sono chiesto cosa avrei fatto. Mi sono ispirato ai grandi direttori del passato… mi ritrovavo in loro, nel modo in cui comunicavano. Sono un grande oratore, mi piace comunicare, ho una parola per tutti… e quindi ho pensato che potessi restare nel calcio. E così è stato. Sono ventitré anni che lavoro all’Udinese, ora sono capo scout. E ho anche la qualifica da direttore sportivo. Magari un domani farò il direttore sportivo”.

Se potesse rivivere una sola partita della tua carriera (magari cambiandone il finale) quale sceglierebbe?

“Italia-Austria. Sono arrivato davanti al portiere austriaco e, invece di fare uno scavetto, gli ho tirato addosso. E poi ho sbagliato un colpo di testa. Vorrei cambiare quella partita lì”.

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