Trump scombina il mondo e apre uno spazio inedito per il debito europeo e l’euro
Nella geopolitica dei mercati, il caos non è mai solo un problema. E’ anche un’opportunità. E oggi, nel caos commerciale e istituzionale provocato da Donald Trump, l’Europa sembra intravedere uno spazio che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile: diventare un rifugio globale per gli investitori in cerca di sicurezza.
Negli ultimi incontri di primavera del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, a Washington, molti funzionari europei hanno parlato senza troppi giri di parole: la stabilità, la prevedibilità e il rispetto delle regole stanno tornando a essere un vantaggio competitivo per l’Unione. Dopo anni di crisi dell’euro, di austerità, di tensioni politiche interne, l’Europa appare oggi, agli occhi di chi gestisce denaro globale, più rassicurante degli Stati Uniti di Trump, dove anche il ruolo stesso della Fed è diventato terreno di scontro.
Gli indizi ci sono. L’euro ha guadagnato più del 5 per cento sul dollaro da aprile. I bund tedeschi, considerati il bene rifugio per eccellenza in Europa, hanno visto una forte domanda, mentre i Treasury americani hanno sofferto. L’annuncio di un piano tedesco da oltre mille miliardi di euro di nuovo debito per finanziare la difesa e le infrastrutture ha acceso un entusiasmo raro: finalmente più “safe assets” in euro, finalmente un’alternativa concreta a un mercato dominato dai titoli di stato americani.
Eppure, la strada resta impervia. Non basta qualche mese di nervosismo americano per rovesciare equilibri che esistono da decenni. Il dollaro resta la valuta principe: oltre la metà degli scambi mondiali lo usano, e il 60 per cento delle riserve globali è ancora denominato in biglietti verdi. L’euro pesa meno della metà, nonostante i progressi. Inoltre, l’Europa continua a portarsi dietro vecchi limiti: l’assenza di un vero mercato dei capitali integrato, la frammentazione politica, la fatica ad agire come un soggetto unico. Come ha ricordato Alfred Kramer del Fmi, parlare di “euro eccezionale” è prematuro. Serviranno anni di riforme interne e di coesione politica per consolidare davvero l’attrattività europea.
Nel frattempo, ciò che probabilmente vedremo è una diversificazione. Non una fuga di massa dal dollaro, ma una progressiva riduzione dell’eccesso di esposizione americana nei portafogli globali. Più oro, più franchi svizzeri, più euro, più attenzione a nuovi mercati. Se l’Europa saprà davvero diventare un porto sicuro, non lo farà in contrapposizione isterica agli Stati Uniti, ma costruendo pazientemente fiducia, strumenti comuni, solidità. In questo senso, la vera sfida non è a Trump, ma a sé stessa.