In questi giorni gli attacchi russi sulla città si sono intensificati, e il discorso pasquale di Zelensky è stato particolarmente solenne. Ma Odesa – in ucraino è con una esse – sa scherzare di tutto, e continua a farlo dopo tre anni
Di ritorno da Odessa, segnalo due circostanze. La prima, di cui avete saputo, è l’intensità degli attacchi russi sulla città: decine di droni Shahed al giorno. Un vero investimento, anche solo per il costo. La seconda è il discorso pasquale di Zelensky, quest’anno specialmente solenne, problematico (“in tempi difficili, non è tanto la vittoria delle armi che conta, quanto la vittoria dello spirito. La nostra vittoria. La vittoria del nostro spirito”), e con una forte accentuazione religiosa. Il discorso aveva un quasi impercettibile dettaglio grammaticale: dopo aver nominato i luoghi più colpiti degli ultimi giorni, Sumy, il parco giochi di Kryvyj Rih, Kharkiv, Dnipro, ha completato “la nostra Odesa”. Quell’aggettivo in più, nostra, è insieme rassicurante e allarmante. Sembra ribadire l’attaccamento a una città che spesso passa per eccentrica e disamata per il suo cosmopolitismo, e d’altra parte alludere a una pretesa sulla perla del Mar Nero cui il regime russo non ha mai rinunciato, e che in un perenne raptus amoroso bombarda metodicamente. Forse è solo per alzare il prezzo del negozio.
E ora cambiamo tono. Odessa si chiama così, con due esse per la stragrande parte dei suoi cittadini, che parlano russo, con una in ucraino. Sa scherzare di tutto, e i tre anni di guerra non le hanno tolto il suo leggendario umorismo (e il peculiare retaggio ebraico). C’è un cane che abbaia e ulula senza sosta. “Che cosa ululi a fare, scemo, chi vuoi che ti stia a sentire così? Abbaia in ucraino!”. Al famoso mercato, a Moldavanka, che le guide chiamano “delle pulci” ma è dei cavalli, “starokonny” (se non la pulce, la cimice e il cavallo sono nobilmente consacrati dalla letteratura, Majakovskij e Babel’ e Tolstoj.…), insomma, l’avventore saluta l’amico venditore: “Andrà tutto bene”. Il venditore: “Dici? Ancora meglio di così?” (a Sarajevo l’umore era piuttosto nero: “E’ morto prima l’uovo o la gallina?”). Nell’angusta portineria di un condominio sono seduti da sempre Vassilij e sua moglie Galina, e litigano accanitamente, come sempre. Vassilij proclama che vuole divorziare: “Ha 30 gatti! Non si può vivere con una donna e trenta gatti! Non posso sopportarne più di tre, assolutamente!”. “Galina: “E’ pazzo. Io dovrei scambiare i miei trenta gatti con un caprone?”. Al mercato generale invece, a Privoz, c’è una vecchina segaligna fronteggiata dalla venditrice colossale. La vecchina prende in mano una busta di caffè in polvere, solubile. La soppesa, le guarda attraverso, la tasta accuratamente, poi finalmente tira su la testa e chiede: “Che cosa si fa con questo?”. La grande venditrice, paziente: “Si mescola”. “Si mescola?”. “Sì. Prima si compra, poi si mescola”. La vecchina sospira e posa il pacchetto: “C’è chi compra, e c’è chi mescola”.
Chiedo al cambiavalute coi grandi baffi tatari se ha una storiella su Trump. “Uhm. Però ne ho una sovietica, su Reagan. In viaggio per l’Urss, Reagan si ferma a Odessa. Si aspetta un’accoglienza popolare calorosa, ma non trova nessuno a festeggiarlo. Gli ospiti ufficiali, nel panico, ordinano di sparare il famoso cannone di Crimea del Primorsky Boulevard. Il cannone spara e in un condominio vicino si apre una finestra. “Moishe? Che cos’è questo orribile baccano?”, grida una voce. “E’ arrivato Reagan”, da un’altra finestra. “Ah”, replica la prima voce, e si chiude la finestra. Le delegazioni americana e sovietica sono ancora più imbarazzate. “Su, che cosa aspettate, sparate di nuovo il fottuto cannone!”, grida il funzionario sovietico. Il cannone spara di nuovo, e il rimbombo scuote tutta la città. Un momento dopo, la finestra si riapre. “Moishe? Che cos’è questo orribile baccano?”. “E’ arrivato Reagan”, dall’altra finestra. “Ah. Che c’è, l’hanno mancato, la prima volta?”.