“Più che l’ospedale da campo, Francesco ha creato il caos”. Parla il professor Jakub Grygiel

Dopo Bergoglio, le relazioni tra la Santa Sede e gli Stati Uniti sono complicate come non accadeva da tempo. Colloquio con il docente di Relazioni internazionali alla Catholic University di Washington

“Il problema che Papa Francesco ha creato non è tanto l’ospedale di campo ma il caos”. E’ tranchant il professor Jakub Grygiel, docente di Relazioni internazionali alla Catholic University di Washington nel commentare con il Foglio quel che sarà il dopo Francesco nelle relazioni (complicate come non accadeva da tempo) tra la Santa Sede e gli Stati Uniti. “Andare ‘in periferia’ non ha avuto molto senso negli Stati Uniti, dove la periferia è spesso il posto dove la Chiesa cattolica è più vibrante, con famiglie, scuole e, negli ultimi anni, anche università cattoliche che sono fedeli alla dottrina e pieni di gioia e energia per il grande conflitto tra la cultura della vita e quella della morta. Quando Papa Francesco aveva detto che la Chiesa non poteva ‘insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi’ perché ormai il ‘campo’ era ‘dopo una battaglia’, la periferia americana si era sentita tradita: in fondo, la battaglia non è per niente finita, e il suo punto culminante riguarda appunto la vita, il matrimonio, e la famiglia. Se si accettava la sconfitta su questo punto – e il ruolo principale della Chiesa diventava quello di tacere e di raccogliere i morti e i feriti – allora il Papa non aveva molto altro da dire”.

Papa Francesco è passato alle cronache per essere stato molto “aperturista” su certe tematiche: si pensi alla celebre frase “Chi sono io per giudicare un gay?” o alla contestatissima dichiarazione Fiducia supplicans. Eppure, spesso i media non hanno dato risalto alle sue parole contro “l’ideologia gender, che è una bomba contro il matrimonio” o “uno sbaglio della mente umana”. Negli Stati Uniti, quale Francesco è arrivato? Quello “liberal” o quello anti gender? “E’ arrivato solo quello ‘liberal’ per un motivo in particolare”, dice il professor Grygiel: “Papa Francesco è risultato utile per i liberal, dai mass media ai politici di sinistra, perché si era schierato dalla loro parte sulla questione principale del mondo moderno: il progresso crea nuove verità o no? I liberal dicono di sì, ed ecco che ciascuno può decidere se una vita fa comodo o no, l’uomo non è diverso dalla donna, e la famiglia è una communita arcaica sorpassata dalla molteplicità di nuove società. Papa Francesco ha lasciato tanti dubbi nella sua risposta a queste domande. In molti casi, per esempio sul tema del matrimonio e famiglia, sembra che avesse elevato l’analisi sociologica sopra la dottrina – come la società si comporta era diventato equivalente alla nuova dottrina e bisognava accettare le realtà sociologiche come verità”.

Però è indubitabile che in questi anni la società americana è andata sempre più polarizzandosi. Questo si è visto anche nella realtà cattolica, che negli Stati Uniti è molto più viva e dinamica rispetto a tanti paesi europei? “La generazione dei cattolici degli anni Sessanta e Settanta era rappresentata dalla figura del presidente Biden, convinto che si potesse essere ‘personalmente’ contro l’aborto ma pubblicamente a favore e che il ruolo della Chiesa non fosse differente da quello di una ong. Biden, orgogliosamente persuaso altresì dall’idea che ricevere la comunione fosse un diritto umano che nessuno e nessun peccato poteva proibire. Come Biden, questa generazione sta scomparendo. La nuova generazione è diversa: numericamente più piccola ma certamente conscia della battaglia, quotidiana e generazionale, tra la cultura della vita e quella della morte, tra la gioia della differenza sessuale e le follie postmoderne dell’ideologia gender, tra una Chiesa fondata sulla dottrina e una sulla sociologia. Papa Francesco si era schierato con la generazione, ormai in uscita, di Biden, mentre la generazione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è quella in ascesa (i giovani sacerdoti sono uomini solidi, che sanno che la battaglia del mondo moderno continua e che non bisogna abbandonare il campo)”. In questi anni c’è stata una reazione nella società cattolica americana alle derive woke? La Chiesa ha fatto la sua parte o è rimasta timida? “Meglio tacere su questo punto. La divisione della gerarchia cattolica è profonda – e la divisione tra la gerarchia (almeno quella ‘francescana’) e gran parte della società cattolica americana è ancora più grande”.

Si è scritto che Trump e Francesco non sarebbero mai potuti andare d’accordo, come dimostra del resto la Lettera ai vescovi degli Stati Uniti. Eppure, penso ad esempio sulla guerra russo-ucraina, i punti di contatto c’erano. Cosa è accaduto? Incompatibilità caratteriale? “Di caratteri difficili la storia è piena. Ma qui si tratta piuttosto di una differenza politica netta e di una sconfitta politica del Papa. La lettera di Papa Francesco sull’immigrazione indirizzata ai vescovi americani è, in un certo senso, un riassunto della posizione presa dal Pontefice, che ha elevato l’immigrazione senza limite a nuovo comandamento. La sua critica dell’avvio di un programma di deportazioni di massa che il presidente Trump ha promesso – programma che gli ha dato un vantaggio elettorale – è una critica dell’idea che le comunità hanno dei confini e dei limiti. In fondo, sotto la presidenza di Obama le deportazioni erano numerose ma il Papa non aveva inviato una simile lettera perché Obama prometteva nei suoi discorsi un mondo nuovo, globale, senza confini. Trump e l’elettorato che lo ha appoggiato hanno una visione diversa e non progressista: lo stato e la nazione non hanno senso e non possono sopravvivere se non erigono dei confini per mantenere il loro ordine e la loro coesione. Gli stranieri sono certamente benvenuti come ospiti ma con il permesso della società (cioè, dal punto di vista legale, dello stato). Il Papa sembra aver scelto una visione del mondo senza cittadini, senza stato, senza nazioni. Ecco che la differenza con Trump non è stata caratteriale, ma politica”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

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