Il piano americano per la pace è punitivo per Kyiv

Escono i dettagli della proposta di Trump all’Ucraina, ma le premesse indicano che gli Stati Uniti vogliono decidere senza Zelensky. Dall’assenza di Rubio e Witkoff durante i colloqui di Londra al riconoscimento americano della Crimea. Putin pensa di avere il capo della Casa Bianca in tasca

Nei primi mesi del 2025 il rublo ha registrato un risultato inaspettato: si sta rafforzando. Artefice di questo cambiamento è anche l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. La pubblicazione russa The Bell avverte che il sollievo del rublo è temporaneo, ma indica che sul rapporto fra Trump e Vladimir Putin le scommesse sono serie e le conferme non mancano.

Oggi si terrà a Londra un incontro importante per presentare agli ucraini e agli europei il piano di pace di Washington: gli americani però non mandano negoziatori di livello, non ci saranno né l’inviato speciale Steve Witkoff né il segretario di stato Marco Rubio. Solo il generale Kellogg sarà presente: è inascoltato da Trump, non ha potere negoziale. L’assenza di Witkoff e Rubio è cruciale, sono le figure che finora hanno portato avanti i colloqui, prendono decisioni, parlano con il presidente e ciò sembra indicare che Washington vuole mettere Kyiv davanti al fatto compiuto: questo è il piano, prendetelo. Il presidente ucraino Zelensky ha detto che per l’Ucraina, l’incontro di Londra è un primo passo in cui accetta di discutere soltanto un cessate il fuoco. Sono usciti però alcuni dettagli, dai quali si capisce che verrà chiesto all’Ucraina di rinunciare a molto del suo territorio, alle sue aspirazioni di adesione all’Alleanza atlantica, ma non si sa ancora come gli americani credono di garantire la sicurezza di Kyiv. Una fonte ha detto al Washington Post che il piano altro non è che l’“idea Witkoff”: l’inviato speciale aveva suggerito a Trump di riconoscere la Crimea come territorio russo. L’idea è stata sponsorizzata dopo uno dei viaggi che Witkoff ha compiuto in Russia, difficile non vedere l’opera di convincimento di Mosca andata a buon fine. Alcuni quotidiani americani hanno riferito che, secondo il piano, alcune aeree ucraine saranno controllate dagli americani, come Enerhodar, dove si trova la centrale nucleare della regione di Zaporizhzhia occupata dall’esercito russo. In questa fase gli spifferi e le speculazioni sono più delle certezze, il piano sembra cucito sulle richieste di Mosca, impossibile da accettare per Kyiv. Il Cremlino continua a dire di volere il territorio intero delle cinque regioni occupate (Crimea, Kherson, Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia), ma, secondo il Financial Times, avebbe lasciato intendere di poter cedere su alcune richieste “massimaliste”. Putin ha iniziato a lavorare sul suo rapporto con Trump da tempo, tanto che su alcuni media russi indipendenti è comparso un racconto interessante. A novembre dello scorso anno, dopo la vittoria di Trump contro Kamala Harris, il capo del Cremlino ha chiesto a uomini di affari, capi delle principali aziende del paese di stilare in modo dettagliato una lista di tutti i possibili affari economici che Mosca avrebbe potuto offrire al nuovo presidente americano. Sul piatto è rispuntata anche la Trump Tower di Mosca, ma i collaboratori del presidente russo hanno puntato più sulle risorse russe, che comunque sono poche rispetto alle necessità di Washington. La dote della Russia prevede materie prime come il titanio, l’uranio, il petrolio; terre rare come lo scandio, l’ittrio e il lantanio. Ma è troppo poco per soddisfare il capo della Casa Bianca. Il grande affare può essere nell’Artico ed è sulla frontiera dei mari ghiacciati che il Cremlino ha iniziato a spingere. I negoziati russi sono sempre stati portati avanti da spie, diplomatici di livello: dopo l’incontro tra Putin e Biden a Ginevra nel 2021 il Cremlino suggerì di portare le comunicazioni al livello di intelligence, Washington accettò e lo schema è andato avanti anche dopo l’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, le spie e i diplomatici hanno fatto un passo indietro e nella catena di comando negoziale è salito di molto il capo del Fondo russo per gli investimenti esteri, Kirill Dmitriev, il primo russo sanzionato a cui è stato permesso l’ingresso a Washington. La scalata di Dmitriev risponde al nuovo approccio di Putin con Trump, che finora dimostra che il capo del Cremlino ha capito come trattare con il presidente americano.

Putin ha capito anche di dover dare a Trump dei contentini durante i negoziati con l’Ucraina, non vuole indispettirlo troppo: ha detto di essere pronto a sedersi al tavolo con gli ucraini e, scrive il Ft, avrebbe proposto, durante l’ultimo incontro con Witkoff, di congelare la guerra lungo la linea del fronte, ovviamente in cambio di favori. Zelensky ha risposto di essere disponibile a discutere direttamente con la Russia. I dettagli sul piano americano per far finire la guerra finora sono solo sulle concessioni che l’Ucraina dovrebbe fare al Cremlino e il presidente ucraino ha chiarito che l’Ucraina non riconoscerà mai la Crimea come Russia: il riconoscimento americano sarebbe un serio problema. Kyiv non può riconoscere come russe le regioni sottratte con la forza, non può dire ai cittadini che sono rimasti all’interno dei territori occupati che ormai devono arrendersi all’occupante. Zelensky non può farlo anche perché la Costituzione ucraina non glielo permette e ha più volte detto che quello che l’esercito non può recuperare con la forza, l’Ucraina lo riprenderà con la diplomazia: queste dichiarazioni sono ben lontane dall’indicare che Kyiv cederà.

Putin non ha fretta di negoziare, crede di aver capito Trump. E’ talmente sicuro che ieri, impunemente, ha detto che gli attacchi a Kryvyi Rih e Sumy delle scorse settimane sono stati una ritorsione per le azioni commesse dagli ucraini nella regione russa di Kursk. Ha ammesso che sono stati colpiti civili: era una punizione.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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