I principi pedagogici di Valditara per la scuola. Parla Loredana Perla

Le nuove indicazioni nazionali prodotte dalla commissione nominata dal ministro dell’Istruzione spiegate dalla coordinatrice: “Non ci sono precettismo o paternalismo nel documento. Ci sono profondità e densità concettuale”

Loredana Perla è la coordinatrice della commissione nominata da Valditara per le nuove indicazioni nazionali della scuola. Ordinario di Pedagogia all’Università di Bari, ne ha curato le premesse pedagogiche. Dopo la pubblicazione delle bozze del documento, l’11 marzo scorso, è partito il fuoco delle polemiche. Si contesta l’idea di una scuola paternalistica, autoritaria, troppo prescrittiva e poco inclusiva.

Eppure l’incipit sembrerebbe andare in direzione opposta, professoressa. “La Costituzione – si legge – mette al centro la persona e concepisce lo stato per l’uomo e non l’uomo per lo stato”. Perché siete partiti proprio da qui?

“Il passo è tratto da una relazione di Giorgio La Pira, cara al ministro Valditara. Abbiamo scelto di cominciare con queste parole per affermare che nelle nostre premesse c’è l’influenza del personalismo cristiano di La Pira. Il grande politico e giurista pone il principio personalistico alla base della Costituzione, affermando il concetto dell’anteriorità metafisica della persona e rovesciando totalmente l’impostazione dell’esperienza fascista, comune in questo ai regimi comunisti, per i quali l’individuo era concepito per lo stato”.

C’è quindi una chiara opposizione all’impostazione fascista, ho capito bene? C’è chi paventa il contrario…

“Certo. La scuola della riforma di Valditara è scuola costituzionale, che non chiederà mai agli studenti di adattarsi alle superiori esigenze di un modello ideologico”.

Lo riaffermate, subito dopo, anche con le parole di Emmanuel Mounier. “Le collettività non sostituiscono mai la persona, ma hanno il compito di preparare le condizioni del suo divenire e completarsi, suscitandola”.

“Non è casuale. Il filosofo cristiano Emmanuel Mounier ha ispirato l’intera mia formazione di pedagogista”.

Altre affermazioni sembrano andare in direzione opposta, come questa: “L’educazione alla libertà, non è sviluppo dello studente nella libertà, ma sviluppo della libertà nello studente”. Cosa significa?

“Significa che la libertà non è far tutto ciò che si vuole, ignorando le regole e il senso del limite, ma è rispetto dell’altro, delle istituzioni e del principio di autorità da queste incarnato. La scuola insegna a superare una visione individualistica della vita, che è l’opposto del personalismo”.

Rispetto alle premesse personalistiche suona strana anche l’affermazione: “Il Patto di corresponsabilità aiuta a riconoscere, da parte dei genitori, la funzione di alleati primi della scuola”. Detta così, sembra che sia la scuola il perno dell’educazione, con cui il genitore, quasi da comprimario, deve allearsi.

“E’ un equivoco che va subito chiarito. Non a caso, nel primo paragrafo abbiamo richiamato il principio pedagogico della co-educazione, oggi caduto un po’ nel cono d’ombra proprio per l’imporsi di un’idea di scuola che può fare tutto, anche assumere deleghe educative da parte delle famiglie”.

Sono arrivate critiche da studiosi e sindacati. Quali l’hanno contrariata di più?

“Innanzitutto mi faccia dire che sono arrivate anche tante critiche molto costruttive, dalle audizioni e dalle risposte ai questionari proposti alle scuole. Quella che mi ha contrariato di più, forse, è la critica a una citazione di Bloch fatta dalla commissione degli storici: ‘Solo l’Occidente conosce la storia’. Non vuol dire, come si è mal interpretato, che non ci sia stata una storia di altri paesi del mondo e che a scuola non vi si possa fare riferimento. Ma purtroppo si è affermata una pedagogia mainstream che non ama affatto la storia nazionale e preme perché il suo insegnamento si ispiri a un’ideologia universale cosmopolita. Da pedagogista credo invece che non si arriva a capire il mondo se non si conosce la Patria, la cultura che ci ha generato”.

Tra le reazioni più dure c’è stata quella del suo collega Italo Fiorin, che ha coordinato la Commissione per le precedenti Indicazioni, quelle del 2012. In un’intervista su “Tuttoscuola”, Fiorin richiama una contraddizione di fondo: a parole, secondo lui, sottolineate il protagonismo dell’allievo, ma poi la vostra impostazione precettistica, in certi casi fino alle minuzie, farebbe respirare un paternalismo didattico soffocante.

“Non ci sono precettismo o paternalismo nel documento. Ci sono profondità, densità concettuale, e comunque è sempre premesso il rispetto per l’autonomia delle scuole. Su una cosa, però, dice bene Fiorin: queste Indicazioni sono diverse nei contenuti. Lo rivendico con orgoglio: la grande novità sta nella forza impressa alle didattiche disciplinari, come alcuni grandi intellettuali hanno compreso”.

Cosa dice a Dario Ianes, che, invece, coglie un sottotesto di attacco alla scuola dell’inclusione?

Dico che il ministro sta rispondendo con i fatti. L’ultimo è dei giorni scorsi: la ricostituzione dell’Osservatorio per l’inclusione scolastica. Ma chi non vuol vedere queste cose, non vedrà.

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