Torture in stile medievale e pistole puntate in faccia: “A volte piangono in modo incontrollabile, a volte non parlano per risparmiare energia”. Il racconto dell’inferno in terra vissuto dagli ostaggi israeliani detenuti a Gaza dall’attacco del 7 ottobre
Tutti ricordano il detenuto iracheno solo, nudo, con i vestiti ammucchiati ai piedi, in posizione di difesa, gli occhi terrorizzati, le ginocchia piegate e le mani avanti come per fermare il cane a guinzaglio di un soldato americano. Era lo scandalo di Abu Ghraib e gli americani ci hanno perso il credito morale della guerra a Saddam Hussein. Non c’è giornale, tv e pundit, che non abbia scritto di quelle foto e scandalo. Nessuno scandalo invece per l’Abu Ghraib di Hamas.
Il fratello di un ostaggio israeliano tenuto a Gaza dall’attacco di Hamas del 7 ottobre ha descritto la sua prigionia come “un inferno in terra”. Gal Gilboa-Dalal racconta di suo fratello, Guy Gilboa-Dalal, detenuto da 557 giorni, da quando i due sono stati separati durante la fuga dal festival Nova, dove i terroristi di Hamas hanno ucciso oltre trecento giovani israeliani. In un’intervista a Yedioth Ahronoth, Gal ha condiviso la testimonianza di ostaggi rilasciati e che erano stati trattenuti insieme a Guy. “Lo torturano ogni giorno”. Il cibo, principalmente riso, è avariato e immangiabile, costringendo Guy a razionarlo chicco per chicco. “A volte piangono in modo incontrollabile, a volte non parlano per risparmiare energia”. I terroristi emettono suoni spettrali per incutere timore e “costringono gli ostaggi a strisciare a quattro zampe e ad abbaiare come cani prima di aggredirli fisicamente”.
Anche Omer Wenkert, tenuto prigioniero da Hamas a Gaza per 505 giorni, ha condiviso una testimonianza simile in un’intervista al Wall Street Journal. Wenkert ha rivelato il regime di torture psicologiche e fisiche, fra cui “stare seduto come un cane e abbaiare. Mi hanno detto: ‘Resterai così per 24 ore. Non muoverti. Se hai bisogno di fare pipì, fattela addosso, come un cane’”.
Keith Siegel a febbraio è stato scambiato da Hamas. Racconta al New York Times che quando è arrivato a Gaza l’hanno portato in una stanza. “Una tortura in stile medievale”. Una donna era stata legata e le guardie la stavano picchiando con strumenti rudimentali. “Mi è stato detto di entrare e di dire alla donna che la tortura sarebbe continuata finché non avesse ammesso le accuse di cui era accusata”. Un giorno di fine gennaio, mentre Siegel era sdraiato in una piccola stanza senza finestre, uno dei suoi rapitori gli ha puntato la pistola in faccia. “Ha fatto finta di spararmi e ha detto: ‘Ora sei morto’”. Ma sarebbe ingeneroso dire che i media italiani non hanno parlato dell’altra Abu Ghraib. “Un’Abu Ghraib israeliana nel deserto del Negev”, titola Repubblica. “Una Abu Ghraib israeliana” (Il Fatto). “L’Abu Grahib israeliano” (L’Unità). Hamas ha capito perfettamente come funziona il gioco in occidente e a Londra ha appena fatto causa al governo per farsi togliere dalla lista nera dei terroristi. D’altronde, “Hamas non è un gruppo terroristico, per noi è un movimento politico”, ha detto Martin Griffiths, sottosegretario per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite. La tortura politicamente corretta.