L’86 per cento del capitale a favore della “presa”di Piazzetta Cuccia. E se era scontato il sì del “fronte romano”, cioè Caltagirone, Delfin, Mef più le casse di previdenza come Enasarco e il tandem Banco Bpm-Anima, è stata una sorpresa l’adesione al progetto di diversi fondi di investimento
Di domande toste su Mps-Mediobanca gliene sono arrivate, eccome, in assemblea, comprese alcune da un giornalista di Report che si è accreditato con poche azioni, del tipo se la banca senese è troppo piccola per inglobare l’istituto di Piazzetta Cuccia, se il Monte rischia la reputazione riconquistata (anche con le agenzie di rating) in caso di insuccesso, come mai è stata fatta un’operazione così ostile. Ma Luigi Lovaglio, il banchiere messo a capo del Monte dal governo Draghi, ha sfoderato una tale capacità di persuasione sul disegno industriale in cui crede fermamente, quello del terzo polo bancario, da avere contribuito al risultato finale.
La percentuale di soci che ha votato a favore della scalata del Monte a Mediobanca è andata ben oltre le previsioni: l’86 per cento del capitale presente in assemblea (sarebbero stati sufficienti i due terzi). E se era scontato il sì del “fronte romano”, cioè Caltagirone, Delfin, Mef più le casse di previdenza come Enasarco e il tandem Banco Bpm-Anima, è stata una sorpresa l’adesione al progetto di diversi fondi di investimento, vale a dire di quell’area di mercato che è sempre stata data come scettica sulla “presa” di Piazzetta Cuccia. A favore dell’aumento di capitale al servizio dell’ops, infatti, si sono espressi non solo Pimco, Algebris e il fondo norvegese Norges Bank, che lo avevano dichiarato nei giorni scorsi, ma anche l’americana Vanguard e la francese Amundi, del gruppo Crédit Agricole. Contro ha votato, invece, Blackrock insieme con il 14 per cento del capitale. Una netta minoranza.
Applausi a scena aperta a Lovaglio che, intanto, riceveva, si dice, le congratulazioni di Francesco Milleri sul telefonino e decine di messaggi di incoraggiamento per quella che ha più volte rivendicato come un’iniziativa personale (avendone parlato con il ministro Giancarlo Giorgetti sin dal 2022) oltre che per la rivincita del Montepaschi. La cenerentola delle banche italiane, l’istituto travolto dagli scandali e salvato dallo stato con i soldi pubblici, la banca che tre anni aveva finito l’ossigeno, rifiutata da Unicredit, e che solo un aumento di capitale mandato in porto in extremis, paradosso, da Lovaglio a braccetto con l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, è riuscito a scongiurare il fallimento, è diventata il perno del risiko bancario italiano. “Con Mediobanca il Monte avrà un ruolo da protagonista in un mercato che andrà necessariamente a consolidarsi”, ha detto l’ad.
Insomma, ieri è stato il giorno dell’orgoglio ritrovato di Mps a quasi dieci anni dal “salvataggio”. L’offerta su Mediobanca si svolgerà tra giugno e luglio e Lovaglio non solo è fiducioso che avrà successo, ma spera che nel terzo polo possa in qualche modo confluire anche Banco Bpm se riuscisse a svincolarsi dall’abbraccio di Unicredit, su cui, come ha anticipato Giorgetti, il consiglio dei ministri deciderà oggi se utilizzare o meno il golden power. Indiscrezioni di stampa riferiscono che potrebbe esserci un via libera condizionato da parte di Palazzo Chigi, che, in ogni caso, starebbe lavorando per esprimere la sua posizione prima dell’assemblea di Generali in programma il 24 aprile in modo da evitare di influenzare la “finale” di tutte le partite bancarie in cui Unicredit giocherà un ruolo determinante. Con quale delle tre liste in gara per il cda del Leone voterà l’ad Andrea Orcel? E’ la domanda che si fanno tutti anche in funzione di un possibile confronto nell’arena con Intesa Sanpaolo, dopo la conferma di Carlo Messina prevista per fine mese.
Ma questa è un’altra storia, diversamente collegata alla scalata di Mps a Mediobanca, il cui esito, comunque, dipenderà dalla volontà dei soci di quest’ultima, se crederanno o meno al progetto industriale proposto da Siena che non solo è stato bocciato dal cda guidato da Nagel ma è stato definito rischioso da quest’ultimo in relazione al peggioramento dello scenario economico e alla prevista riduzione dei tassi di interesse che roderà i margini di profitto delle banche tradizionali come Mps. I fondi che ieri a Siena hanno votato a favore dell’ops, evidentemente, non la pensano come Nagel trovandosi nei panni di soci di una banca commerciale che ha tutto l’interesse ad aggregarsi con una realtà con attività diversificate nelle gestioni patrimoniali.
La sfida di Mps sarà convincere gli azionisti di Mediobanca non solo sulla validità del progetto industriale ma anche sul prezzo offerto, che Lovaglio continua a dichiarare essere “congruo” ma che gli analisti segnalano ancora “a sconto” del 5 per cento, stando agli attuali valori di mercato. Mps ha confermato ieri l’obiettivo di conseguire almeno il 66,7 per cento del capitale di Piazzetta Cuccia ma ritiene che “gli obiettivi strategici dell’offerta siano realizzabili anche con una quota superiore al 51 per cento”. E nelle risposte ai soci, il Monte ha escluso l’esistenza di un “accordo” con Caltagirone per spartire la partecipazione del 13 per cento detenuta da Mediobanca in Generali. Lovaglio ha ripetuto, però, che tale partecipazione è “nice to have”, ma non determinante per Mps-Mediobanca.
Mariarosaria Marchesano