Dal Messico alla Danimarca passando per Ue e Bce. Di fronte alle leadership femminili il bullismo di Trump può andare in cortocircuito (e Meloni ha una chance). La tesi suggestiva della grande economista Deirdre McCloskey
E se ci fosse una sorpresa oggi nell’incontro fra Trump e Meloni? Deirdre McCloskey è una grande economista. E’ professoressa emerita alla University of Illinois di Chicago, è considerata tra i più influenti economisti al mondo e tra i massimi teorici del libero mercato, ha scritto più di venti libri di teoria e storia economica, di filosofia, femminismo, etica e diritto, e in questi giorni si trova in Italia per promuovere una trilogia importante, finalmente tradotta nel nostro paese dalla Sbe-Silvio Berlusconi editore, che meriterebbe un posto sugli scaffali di chiunque si riconosca in una definizione seria di classe dirigente: “Dignità borghese”, “Virtù borghese”, “Eguaglianza borghese”. Deirdre McCloskey, conversando con chi scrive, sostiene di essere ottimista sul modo in cui l’Europa può reagire al trumpismo, sostiene che l’Europa potrebbe riuscire a rappresentare quei valori che l’America di Trump potrebbe non essere più in grado di rappresentare, sostiene che l’onda d’urto del trumpismo paradossalmente potrebbe costringere l’Europa a fare dei passi in avanti nella direzione di una maggiore competitività e sostiene infine che all’interno delle imprevedibili geometrie trumpiane vi siano due elementi importanti che nel medio e nel lungo termine potrebbero essere due check and balance simmetrici della furia trumpiana.
Il primo check and balance lo abbiamo visto negli ultimi giorni ed è il check and balance che ha costretto Trump a una mezza ritirata strategica sui dazi: il mercato, la forza della globalizzazione, le borse e i rendimenti in rialzo improvviso sui titoli di stato americani. Il secondo check and balance, più difficile da maneggiare ma suggestivo da considerare, per provare ad aggiungere qualche goccia d’acqua nel bicchiere mezzo pieno dell’ottimista in servizio permanente effettivo, riguarda, secondo McCloskey, una categoria che Meloni incarna perfettamente, ovverosia le leadership femminili al cospetto di Trump. La tesi di McCloskey è che le figure istituzionali rappresentate da leader femminili hanno un vantaggio competitivo nei confronti di Trump per la semplice ragione che di fronte a leader femminili il bullismo di Trump di solito va in cortocircuito, non potendo il presidente americano giocare con uno schema binario consolidato: forza contro forza, virilità contro virilità.
Di fronte alle donne, di solito, anche se ci sono eccezioni nel passato recente di un certo peso come Angela Merkel, l’effetto teatrale del trumpismo si sgonfia e l’imprevedibilità di Trump può essere gestita in modo diverso dall’incontro tra maschi alfa. E’ una tesi spericolata, suggestiva, che offre a Meloni qualche elemento ulteriore in più, amicizia a parte e alleanza a parte, per provare a mostrare coraggio di fronte al presidente americano. Ed è una tesi che, per quanto avventurosa, contiene alcuni elementi che meritano di essere inquadrati e che riguardano una serie di fatti che si possono mettere insieme senza forzare troppo la mano. Il primo elemento riguarda la capacità con cui due donne, la presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, e la premier danese, Mette Frederiksen, hanno utilizzato le minacce di Trump per rafforzare se stesse. La presidente del Messico, dopo il negoziato con Trump sui dazi, ha radunato, a marzo, decine di migliaia di persone nello Zócalo, la piazza principale di Città del Messico, per celebrare la decisione degli Stati Uniti di rinviare l’imposizione di dazi su molte merci messicane, e la sua popolarità oggi è più alta che mai (85 per cento). Stessa storia per la premier danese, che ha visto un aumento del consenso dal 31 al 45 per cento tra gennaio e marzo 2025, dopo aver respinto con decisione le pressioni di Trump per l’acquisizione della Groenlandia (“la Groenlandia non è in vendita”).
Trump, in nessuno dei due casi, è riuscito a reagire, con nessuna delle due leader è riuscito a entrare in conflitto aperto. Con Meloni, ovviamente, è diverso, perché per Trump ragioni per entrare in conflitto non ci sarebbero, ma la speranza di McCloskey è che la premier italiana, che l’economista non stima particolarmente, possa sfruttare la sua condizione praticamente unica, un’alleata donna alla guida di un grande paese europeo, per governare l’imprevedibilità di Trump con un pizzico di propria imprevedibilità. Meloni, oggi alla Casa Bianca, è la prima leader europea a incontrare il presidente, nel suo secondo mandato, e finora una delle difficoltà incontrate da Trump nella sua dialettica con l’Europa è stata quella di non poter giocare la partita, tradizionale, del muro contro muro, del gallo contro gallo, delle sberle contro le sberle. L’Europa, l’Europa di Ursula von der Leyen, l’Europa di Roberta Metsola, l’Europa di Christine Lagarde, ha finora reagito in modo calmo, non isterico, persino efficiente, e non ha sfidato frontalmente il presidente americano ma ha provato a neutralizzarlo, per quanto possibile, con metodo, usando le leve del dialogo, del compromesso, del passo lento. Le donne, sostiene McCloskey, a meno che non siano avversarie politiche dirette, come sono state nel passato Hillary Clinton, Kamala Harris, Nancy Pelosi, quando rivestono un ruolo importante, quando sono leader, possono disarmare Trump perché lo costringono a uscire dal suo copione tradizionale e l’incapacità da parte di Trump di maneggiare il potere quando non ha il volto della mascolinità competitiva è difficile che possa trasformarsi in un qualcosa di concreto per l’Italia ma potrebbe trasformarsi per l’Europa in un’opportunità politica da cogliere. Domare l’imprevedibilità di Trump è impossibile. Provare a governarla, senza isterie, forse no, e chissà che anche in questo l’Europa, anche con Meloni, non possa provare a giocare una qualche partita per provare a diventare, senza retorica, great again.