Il ministro Abodi ha chiesto di non convocare più in Nazionale i calciatori coinvolti nell’inchiesta sulle scommesse illegali. Ma dall’inchiesta è emersa soprattutto la dimensione patologica di queste scommesse
Ha detto al Messaggero il ministro dello Sport, Andrea Abodi, che “considero questa storia” – quella dell’inchiesta della procura di Milano sulle scommesse fatte da dodici calciatori su piattaforme online illegali tra il 2021 e il 2023 – “un alto tradimento dei sentimenti, perché il calcio vive di passioni, oltre che di credibilità, perché i ragazzi sanno che non devono scommettere mai sul calcio”. Che il calcio non viva più di passioni è fatto assodato da tempo. E’ sport sì, ma anche un business con un impatto sul pil italiano di 11,3 miliardi di euro, almeno secondo “Report Calcio” (studio realizzato dal Centro studi Figc in collaborazione con l’Arel e PwC Italia). Più volte lo stesso ministro ha sottolineato l’importanza del calcio per l’economia italiana.
Ha aggiunto il ministro Abodi che “non sono un giudice, ma esprimo un giudizio basilare sui princìpi dello sport. Per evitare equivoci vorrei che insieme al contratto il calciatore si impegnasse a firmare una carta dei valori: non ci si dopa, non si scommette, non si prendono soldi in nero e non si guardano partite sulle piattaforme illegali”. E ha suggerito di non convocare più in Nazionale i calciatori indagati per scommesse illegali perché “la maglia azzurra dev’essere espressione del valore tecnico, ma anche del comportamento morale, che deve addirittura precederlo”.
L’intento moralizzatore può essere pure lodevole. Il problema è che al momento non sono emerse evidenze che i calciatori indagati abbiano scommesso su partite di calcio. Secondo il regolamento della Figc “ai soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci e ai tesserati delle società appartenenti al settore professionistico è fatto divieto di effettuare o accettare scommesse, direttamente o indirettamente, anche presso i soggetti autorizzati a riceverle, che abbiano a oggetto risultati relativi ad incontri ufficiali organizzati nell’ambito della Figc, della Fifa e della Uefa”. Chi lo ha fatto, Nicolò Fagioli e Sandro Tonali, sono stati processati, hanno patteggiato, sono stati squalificati, insomma hanno pagato quanto la giustizia sportiva aveva ritenuto giusto pagassero.
Hanno sbagliato, sia loro sia gli altri, è impossibile negarlo. Metterla però sul piano del “tradimento dei sentimenti” è altrettanto inappropriato quanto scommettere su siti illegali. Perché da quanto emerso dall’inchiesta ci sono state sì scommesse, e per un sacco di soldi, ma soprattutto la dimensione patologica di queste scommesse. La dipendenza dal gioco d’azzardo (Dga) è una malattia, l’Oms l’ha inserita tra le condizioni patologiche che “in assenza di misure idonee di informazione e prevenzione può rappresentare, a causa della sua diffusione, un’autentica malattia sociale”. E’ ovviamente necessario evitare nuovi scandali legati al calcioscommesse, ma servirebbe prendere in considerazione l’ipotesi che non tutti i calciatori siano ragazzini viziati e senza morale, insomma dei farabutti, ma che qualcuno di loro possa essere malato, afflitto da dipendenza patologica. O quanto meno porsi il problema prima di moraleggiare.