Le leggi di Cipolla sulla stupidità spiegate ai trumpisti italiani

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – “Gli Alleati hanno vinto la guerra, ma l’Ucraina ha pagato il conto” (Edgar Snow, The Saturday Evening Post, 27 gennaio 1945).

Michele Magno

“Potremmo scegliere fra il disonore e la guerra. Rischiamo di scegliere il disonore e potremmo dunque avere altra guerra” (Winston Churchill, 1938, riadattato ai nostri giorni).



Al direttore – Drill baby drill. Il grido di guerra lanciato da Trump in campagna elettorale, un invito ad ampliare senza limiti l’uso del petrolio di origine nazionale senza più alcuno dei tabù della cultura verde, corre il rischio di trasformarsi in un grande fallimento. Sembra che Trump e i suoi consiglieri abbiano un’enorme difficoltà a calcolare le conseguenze delle loro azioni. Fatto sta che i timori di recessione che ormai serpeggiano nell’economia mondiale per prima cosa hanno abbattuto i prezzi del petrolio. Per la prima volta da molti anni i consumi dell’oro nero potrebbero smettere di crescere: il prezzo è calato abbondantemente sotto i 70 dollari. Ma il petrolio ha costi di estrazione assai diversi nel mondo. Bassi in Arabia Saudita, dove si trova a livelli relativamente poco profondi, ma piuttosto alti negli Stati Uniti per quanto riguarda lo “shale oil”, la tecnologia che ne permette l’estrazione grazie alla frantumazione delle rocce impregnate di petrolio e che ha consentito agli Stati Uniti di diventare il primo produttore al mondo. Gli analisti calcolano che intorno ai 60 dollari al barile molti giacimenti americani entrano in sofferenza e non sono in grado di coprire i costi. Con il bel risultato che i produttori di petrolio, entusiasticamente schierati a favore di Trump, sarebbero fra primi a pagare il conto delle sue mosse avventate. Probabilmente ci ha messo lo zampino anche l’Arabia Saudita, che ha spinto nell’ultima riunione Opec per aumentare la produzione. Forse perché insofferente al primato americano per le quantità prodotte, forse per mandare un segnale alla prepotenza trumpiana. Insieme agli Stati Uniti, anche la Russia paga un conto salato per il calo dei prezzi. Dal petrolio dipendono buona parte delle sue entrate con cui finanzia la guerra in Ucraina e la sua potenza militare. Ma tornando agli Stati Uniti forse bisognerebbe che qualcuno spiegasse all’Amministrazione americana quella cosa che si chiama “eterogenesi dei fini”. E le leggi di Cipolla sulla stupidità. In particolare la terza, che definisce lo stupido come quella persona che causa un danno agli altri causandone contemporaneamente uno più grande a se stesso.

Chicco Testa

Suggerirei ai servi sciocchi del trumpismo italiano di seguire questo ragionamento lineare, perfetto, efficace, fatto ieri dal Wall Street Journal, che Dio lo benedica, che con parole semplici ha spiegato quello che i follower europei del presidente americano si rifiutano di vedere. Primo: “Il proseguimento delle attuali politiche commerciali probabilmente produrrà una recessione mondiale e, anche se le politiche di Trump riuscissero a riportare posti di lavoro nel settore manifatturiero, l’economia statunitense sarebbe meno efficiente, la crescita economica sarebbe stentata e la maggior parte degli americani si troverebbe in una situazione peggiore”. Secondo: “La logica della politica protezionistica di Trump è che una nazione può arricchirsi producendo internamente beni che potrebbe acquistare all’estero a prezzi più bassi. Non solo questo sfida la ragione, ma l’Amministrazione non ha presentato alcuna prova che dimostri come gli Stati Uniti o qualsiasi altra nazione abbiano beneficiato economicamente di politiche protezionistiche su larga scala”. Terzo: “L’esempio più vicino che i protezionisti arrivano a fornire di politiche tariffarie che generano risultati positivi è l’idea che gli Stati Uniti prosperarono grazie agli elevati dazi doganali durante il 19esimo secolo. Ma economisti e storici hanno ripetutamente dimostrato che gli Stati Uniti si industrializzarono più rapidamente quando le aliquote tariffarie diminuirono. Alla fine del 19esimo secolo, era chiaro persino al presidente William McKinley, la cui famosa tariffa del 1890 si rivelò disastrosa economicamente e politicamente, che ‘il periodo dell’esclusivismo è passato. L’espansione del nostro commercio e dei nostri scambi commerciali è il problema urgente’. Le guerre commerciali non sono redditizie”. A voi studio.

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