Il paese sta vivendo un “baby boom” anche dopo il 7 ottobre, primo paese a crescere demograficamente non dopo una guerra ma durante un conflitto. E’ tra i primi dieci paesi con i più alti livelli di felicità. I numeri dello stato ebraico
“Israele è un posto felice. Nonostante affronti costantemente nemici feroci e sopporti da un anno e mezzo combattimenti e funerali, Israele si colloca tra i primi dieci paesi con i più alti livelli di felicità, secondo il Rapporto mondiale sulla felicità 2025. All’ottavo posto, Israele contrasta con altri paesi devastati dalla guerra che sono ragionevolmente infelici: l’Ucraina si trova al 111esimo posto e il Libano, che ha aperto un secondo fronte contro Israele nell’ottobre 2023, è terzultimo, al 145esimo. Persino nazioni occidentali avanzate come Gran Bretagna e Stati Uniti, rispettivamente al 23 e 24 esimo posto, hanno un divario di felicità con Israele. Come mai?”. Se lo chiede sul Tablet americano Nathan Sharansky, l’ex dissidente sovietico.
I dati che indicano la vitalità di una società non soltanto non sono niente male per essere “Il suicidio di Israele”, dal titolo di un libro candidato allo Strega saggistica. Israele è l’unica democrazia in guerra della storia ad avere numeri simili. Israele sta vivendo un “baby boom” anche dopo il 7 ottobre (più dieci per cento delle nascite rispetto all’anno precedente), primo paese a crescere demograficamente non dopo una guerra (come l’Italia del dopoguerra), ma durante un conflitto. Dal 7 ottobre sono arrivati in Israele quarantamila nuovi immigrati, da Mosca a Marsiglia, da Kabul a New York, desiderosi non di suicidarsi in Israele ma di viverci e di difenderlo. Come ha scritto Amos Oz, Israele è un paese nel quale “tutti vengono da qualche altra parte”. L’economia va molto bene, nonostante la contrazione per il debito bellico e il blocco di interi pezzi del paese a causa della chiamata dei riservisti a combattere contro Hamas. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Israele sta facendo meglio degli altri paesi industrializzati con una crescita stimata di oltre il quattro per cento.
La democrazia israeliana è più viva che mai, le piazze piene, i giornali che processano il governo, i generali e le spie che si buttano nell’agone politico, il paese che sprizza eccitazione e divisione. Il rapporto sulla felicità evidenzia anche che Israele è il paese con il punteggio più alto a livello mondiale per la “qualità delle relazioni sociali”. Ovvero il paese è unito, un fattore cruciale per il benessere generale.
La guerra contro Hamas non è finita, restano più di venti ostaggi da tirare fuori da Gaza, ma dopo diciassette mesi i successi bellici sono tanti e non calano i tassi di reclutamento nelle unità combattenti dell’esercito. Se fosse per gli intellettuali da Strega, antifascisti, umanitaristi, uomini di pace, possessori di una saggezza cosmopolita, che vorrebbero fare dello stato ebraico una specie di comitato norvegese multiculturale che assegna il Nobel per la pace, Israele sarebbe ben oltre il suicidio, sarebbe già al funerale. Un po’ come la doppia copertina dell’Economist: dopo il 7 ottobre, “Israel alone”, la solitudine e annessi da declino; oggi “Israel’s hubris”, la forza e la volontà di non soccombere. “Pesach 5785: l’anno prossimo a Gaza”, scrive un altro intellettuale ebreo italiano in vena di comicità. Ma a Gaza non esistono ebrei buoni, ci sono soltanto ostaggi ebrei. Vivi o morti non fa differenza.