Aumentano i fondi che puntano sull’offerta pubblica di Mps su Mediobanca

Tra i fondi anti Nagel anche quelli di Norges Bank, sostenuta da governo, soci forti e fondazioni. L’operazione, strategica in vista del consolidamento bancario, punta anche a influenzare gli equilibri futuri su Generali

Norges Bank voterà a favore dell’operazione di Mps su Mediobanca nell’assemblea del 17 aprile ed è la seconda volta che il fondo sovrano della Norvegia, uno dei più grandi al mondo, si muove in sintonia con il governo Meloni. La prima, a gennaio di quest’anno, quando Norges ha acquistato 8 miliardi di titoli di stato italiani incassando le lodi pubbliche della premier. E la seconda volta pochi giorni fa, quando ha fatto sapere che si esprimerà a favore dell’aumento di capitale di 13,2 miliardi al servizio dell’offerta pubblica di scambio della banca senese su Piazzetta Cuccia, progetto ideato dall’ad di Mps, Luigi Lovaglio, condiviso con i grandi soci Caltagirone e Delfin e benedetto da Palazzo Chigi. Che cosa ha determinato la scelta di Norges? Il fondo detiene una partecipazione non determinante in Mps, il 2,6 per cento, ma la sua posizione in questa partita è rilevante per la credibilità di cui gode a livello internazionale: le sue decisioni di investimento riflettono policy certificate e sono frutto di valutazioni indipendenti (a prescindere poi dal merito delle stesse). Basti ricordare il “no” all’elezione di Paolo Scaroni, che pure era stato indicato dal governo Meloni appena insediato, alla presidenza dell’Enel nel 2023 (negli ultimi due anni, con il nuovo assetto, il titolo Enel ha registrato un incremento di circa il 24,5%).

In questo particolare momento, il previsto rallentamento economico potrebbe avere suggerito a un fondo sovrano che gestisce risparmio che il consolidamento di una banca commerciale come Mps con una banca di investimento e di gestioni patrimoniali come Mediobanca rappresenti il modo più efficace per affrontare l’inevitabile riduzione della profittabilità che arriverà per tutto il settore del credito con la discesa dei tassi d’interesse. Questo scenario era vero prima e lo è ancor di più oggi alla luce delle recenti turbolenze sui mercati. Insomma, ci potrebbe essere un effetto Trump sulla scelta di Norges che è anche azionista di Mediobanca e sarà interessante vedere cosa farà quando, trovandosi dal lato della preda, dovrà decidere se aderire o meno all’offerta di Mps. Si tratta di un caso emblematico della posizione inaspettatamente divergente che hanno assunto i fondi di investimento in questa grande partita finanziaria: gli operatori di mercato rappresentano il mondo su cui l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, e i detrattori dell’operazione contavano per difendersi dall’attacco “romano”. Ma anche Algebris e Pimco hanno dichiarato che voteranno a favore dell’offerta su Piazzetta Cuccia, mentre non si sono ancora espressi gruppi come Vanguard, Blackrock e Amundi. Le indicazioni opposte che sono arrivate dai proxy (vale a dire le due principali società di consulenza internazionali che esprimono le preferenze di voto nelle assemblee) – Iss contraria e Glass Lewis favorevole – riflettono l’interpretazione divergente di un’operazione che nelle intenzioni di Lovaglio ha una valenza industriale ma che nello scenario più generale bancario e assicurativo viene considerata come l’antefatto della battaglia finale per il controllo di Generali il 24 aprile. Sul fronte dei grandi soci di Mps, invece, sono tutti, o quasi, allineati e ci sono pochi dubbi ormai che l’aumento di capitale sarà deliberato.

Ieri sera il cda Banco Bpm ha sciolto la riserva: nell’assemblea del 17 voterà a favore dell’operazione che ha incassato anche il via libera della Bce e la stessa cosa farà la società Anima, appena acquisita. Insieme, Bpm e Anima detengono il 9 per cento del Monte e il fatto che il loro voto non sia più “oscillante” aggiunge un discreto margine di sicurezza all’esito positivo dell’assemblea. Del resto, la banca milanese, guidata da Giuseppe Castagna, non avrebbe avuto interesse a intralciare i piani del governo in un momento in cui cerca a sua volta di svincolarsi dalla “presa” di Unicredit e di dare man forte alla francese Crèdit Agricole che è appena salita sotto il 20 per cento dopo avere sondato il “gradimento” di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, il fronte degli azionisti di peso favorevoli al progetto di conquista di Piazzetta Cuccia (Mef, Caltagirone, Milleri, Banco Bpm, Anima) supera al momento il 40 per cento del capitale del Monte a cui si aggiungono le Fondazioni bancarie, che insieme detengono circa l’1,5 per cento (sempre ieri il presidente della Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone, ha detto che seguirà le indicazioni di Fondazione Siena, ovviamente a favore) e le casse di previdenza (tra cui Enpam e Enasarco) che possiedono circa il 5 per cento. Il fronte del “si”, dunque, considerando anche i fondi di investimento già a favore, supera il 50 per cento. L’operazione passa con il voto favorevole dei due terzi del capitale presente in assemblea. I numeri sembrano esserci.

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