Meloni ha un problema cinese con Trump

Commercio, collaborazioni, sicurezza pubblica, infiltrazioni e ingerenze. Basterà l’uscita dalla Via della seta per rassicurare il presidente americano?

Durante la sua audizione di conferma al Senato, il prossimo ambasciatore americano in Italia, l’imprenditore Tilman Fertitta – molto vicino al presidente Donald Trump e che ha definito “fenomenale” Giorgia Meloni – ha detto di capire bene che l’Italia voglia “tenersi buono” il leader cinese Xi Jinping, ma di essere preoccupato, per esempio, delle cosiddette “stazioni di polizia” cinesi presenti in Italia. Il rapporto spesso privilegiato con Pechino, o poco affrontato in modo diretto dalla politica italiana, è un problema. Una fonte diplomatica americana dice al Foglio che a Washington i falchi anticinesi dell’Amministrazione Trump hanno certo registrato l’uscita dalla Via della seta e alcune dichiarazioni di Meloni nette sulla Cina, ma sono convinti che dietro alla facciata ci sia ancora molto da fare: l’Italia era il ventre molle dell’influenza cinese in Europa nel 2019, e ora?

Solo nell’ultimo anno hanno compiuto missioni in Cina il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il presidente del Senato Ignazio La Russa. Alla fine dello scorso anno c’era stata quella del capo dello stato Sergio Mattarella e poco prima, in estate, la visita della premier Meloni. In quell’occasione è stato firmato il Piano d’azione per il rafforzamento del Partenariato strategico globale Cina-Italia, un documento che menziona esplicitamente “lo spirito della antica Via della Seta” e che ha di fatto sostituito con una specie di copia-incolla il precedente memorandum firmato dall’allora ministro Luigi Di Maio. Solo tre settimane fa, stringendo la mano al vicepresidente della Repubblica popolare Han Zheng, diceva: “Il nostro partenariato è sempre in crescita e credo avrà uno sviluppo importante”. E invece a Palazzo Chigi si pensa adesso a un depotenziamento, soprattutto dopo la visita di Meloni a Washington. Tra le priorità di Trump ci sarà il negoziato sui dazi e le spese per la Difesa, dice al Foglio la fonte, ma il tema della Cina è lo sfondo di priorità per Trump, “che vuole tracciare una linea netta fra i leader di cui fidarsi e quelli di cui dubitare”.



L’influenza cinese in Italia è ancora molto attiva, nella propaganda – che di recente sta puntando tutto sulla costruzione di un’immagine della Cina più autorevole e credibile dell’America – e nella costruzione di rapporti imprenditoriali o con realtà istituzionali locali. All’inizio di aprile, subito prima del giorno dei dazi di Trump, l’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide ha incontrato il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, per “promuovere un maggiore sviluppo delle relazioni Cina-Italia e Cina-Ue” (lo si legge nel comunicato cinese, perché quello italiano non esiste). Ma i funzionari di Pechino accolti in Italia nell’ultimo anno non si contano, e contribuiscono silenziosamente a rafforzare partnership in settori strategici per la Cina, più controversi per l’Italia e l’Europa. A novembre, per esempio, è arrivato in Italia Yin Hejun, ministro della Scienza e della Tecnologia di Xi, con il quale la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha firmato diversi accordi di cooperazione nel campo tecnologico e di ricerca – solo un paio di settimane prima, Bernini aveva presentato un “piano sulla sicurezza e l’integrità della ricerca” per evitare le ingerenze straniere che non sarà pronto prima del prossimo anno. C’è poi la questione delle attività del Fronte unito in Italia, il braccio operativo della leadership cinese fuori dai confini nazionali, e delle attività “di sicurezza” effettuate sul territorio italiano: mentre in America i cinesi colpevoli di atti persecutori e violenze vengono arrestati e processati, a ottobre scorso si è parlato molto, anche all’ambasciata americana a Roma, della visita del ministro dell’Interno Piantedosi in Cina, con tanto di stretta di mano col ministro della Pubblica sicurezza Wang Xiaohong e tour in una stazione di polizia cinese. E sul lato del commercio, non c’è solo Pirelli.

Sebbene l’operazione Urso di portare la produzione di auto elettriche cinesi in Italia sia fallita, a fine marzo il colosso cinese Byd ha firmato un accordo per la distribuzione dei ricambi con Intergea. Neanche una settimana fa la China Merchants ha annunciato un accordo da 1,3 miliardi di dollari con l’italiana Grimaldi per la costruzione di nove nuove navi. E Nuctech, colosso cinese degli scanner sanzionato in America e considerato ad alto rischio, è talmente presente in Italia che qualche mese fa ha vinto due bandi di gara dell’Agenzia delle Dogane per sei scanner mobili per altrettanti porti italiani.



In tutto questo, fra meno di un mese sarà il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini il prossimo rappresentante del governo a volare in Cina. Sarà in una posizione di difficile sintesi: da un lato dovrà essere il trumpiano di ferro che è, quindi profondamente anticinese – ha detto a “Porta a Porta”: “Il problema non è Trump, il problema è la Cina”. Solo che, come molti leader dell’estrema destra europea, negli ultimi anni Salvini si è fatto parecchio corteggiare da Pechino, non si è perso una festa in ambasciata a via Bruxelles, e sui giornali cinesi è stata molto rilanciata la sua intervista al congresso della Lega a Elon Musk, che ha molti interessi in Cina. Meloni, a Trump, dovrà forse spiegare anche questo.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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