Gli Stati Uniti, mamma Roma e il nuovo album “Comuni mortali”, presentato ieri in piazza di Spagna, e il progetto di un disco in inglese. L’ossessione dell’ambizione e un mia vita spericolata
“Il problema dei ragazzi delle periferie è che loro a 35 anni non sono più nulla ma io invece non mi sento di certo in colpa di essere quello che sono oggi”. Rockstar, popstar, divo anni ’20 e star dell’Eurodance. Per Achille Lauro, cantante romano classe 1990, è ancora viva, dice, “l’ossessione dell’ambizione” che ha iniziato a nutrire a 14 anni quando, grazie al fratello Federico, producer per la crew Quarto Blocco, si è avvicinato alla musica. “Non esiste un traguardo, non esiste pace” per l’artista che ha esordito nel 2012 con il mixtape gratuito Barabba e pubblicherà venerdì il suo settimo album di inediti, Comuni mortali.
Un disco grazie al quale è riuscito a guardarsi “dall’esterno”, dedicato “a mia madre, a Roma, agli amici”, ci racconta. Dodici canzoni, tra cui Amore disperato e la sanremese Incoscienti giovani, frutto di una lunga permanenza negli Stati Uniti, tra Los Angeles e New York, in cui è riuscito ad “abbracciare tante generazioni” nonostante il suo “percorso fuori controllo”. Profuma di highway Dannata San Francisco, un brano scritto nel deserto, “eravamo dentro la canzone quando l’abbiamo scritta” con un sound “alla Red Hot Chili Peppers” di Californication.
Anche se, ammette, “quello col mercato americano è un confronto che mi fa sentire l’ultimo” ma “è una bella sensazione”. Il progetto di Lauro è “mettere una pietra finale in Italia” per poi “fare un disco in inglese”. Tra i suoi fan oltralpe c’è già il giovane punk rocker inglese Yungblud. “Qualcuno ha detto che ho provato a far esplodere la mia carriera in ogni album”, sorride Lauro mentre racconta di essere ancora oggi “stra grato alla mia vita spericolata. Proprio quella che cantava Vasco”. Anche se fa quasi strano vedere sulla copertina di Comuni mortali una farfalla, simbolo di “vita, morte e immortalità”, che si posa sull’occhio sinistro del cantante. Un istante “alla moda” immortalato da Luigi&Iango, noti per aver fotografato personaggi come Jannik Sinner e Cate Blanchett.
Conosce il lato della medaglia “di chi non ha niente” e quello invece di chi sa bene cos’è “il grande lusso”. Tra i protagonisti del disco c’è sua madre Cristina, un brano “scritto in dieci minuti” che mostra un lato dell’infanzia di Lauro. “Ricordo che per noi non ti compravi i vestiti / risparmi per portarci cinque giorni a Parigi / e poi quando crescemmo tra ragazzi smarriti / tu facesti da mamma anche ai nostri amici”, canta nella canzone a lei dedicata. Ma c’è anche un’altra musa per il cantante romano. “amoR è una dedica a Roma vista come una donna” perché “ce n’è sempre una dietro una canzone”. Da una semplice frase, da un libro, da un film, tiene a ribadire l’artista, “nasce tutto il concetto di una canzone”. Anche se, ammette, “le cose più belle mi vengono quando non sto scrivendo”. Non sono solo “storie di sofferenza” quelle cantate da Lauro ma anche di “tanta verità”.
Una verità fluttuante nella dimensione del grande cantautorato italiano, “da De Gregori a Venditti”. Dal primo prende una citazione: “Tutte le cose che scrivo le rubo dalla realtà”. Dal secondo, invece, la sua Notte prima degli esami, la dedica alla sua città e al suo pubblico accorso in massa lunedì sera a piazza di Spagna per ascoltare in anteprima i brani di Comuni mortali. E chissà se proprio i due Theorius Campus compariranno sul palco del Circo Massimo, dove Lauro si esibirà il 29 giugno e il 1° luglio in due live sold out. Anche se la voce di Incoscienti giovani assicura di non costruire gli show “partendo dagli ospiti”. Dopo l’antica arena romana, che sarà “solo un punto d’inizio”, Achille Lauro guarda già al 2026 e spoilera: “Dopo il tour nei palazzetti ci sarà qualcosa di più grande”, forse uno stadio.