Siamo in grado di dire che le politiche del presidente americano sono pericolose perché sono contro la globalizzazione, contro il mercato, contro la società aperta? Sappiamo cosa stiamo combattendo ma non sappiamo cosa stiamo difendendo
Nelle ore complicate e convulse dei dazi di Trump, con l’America che agisce, l’Europa che reagisce, la Cina che controbatte, Trump che ci ripensa, i dazi che si riducono, le moratorie che si moltiplicano, c’è un tema di carattere culturale che vale la pena inquadrare e che riguarda un tema che vive sottotraccia nel mondo della politica italiana e europea: sappiamo cosa stiamo combattendo, ovvero i dazi, ma sappiamo cosa stiamo difendendo?
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Dei dazi ormai sappiamo tutto, o quasi. Sappiamo che in Italia potrebbero pesare, se confermati, il 4,5 per centro del nostro export. Sappiamo che in Italia, se confermati, potrebbero pesare sull’occupazione per circa 27 mila unità in meno che potrebbero essere sacrificate a causa della riduzione dell’export. Sappiamo che i dazi, se confermati, possono pesare sullo 0,2 per cento del nostro pil. Sappiamo che il governo ha promesso di stanziare per le imprese circa 25 miliardi. Ma quello che non riusciamo dire, che non riusciamo ad ammettere, riguarda un fatto preciso: siamo in grado di dire che le politiche di Trump sono pericolose perché sono contro la globalizzazione, contro il mercato, contro la società aperta? Sappiamo cosa stiamo combattendo ma non sappiamo cosa stiamo difendendo. E non lo sa fino in fondo anche un pezzo della sinistra italiana che dopo aver osservato con simpatia anni fa le manifestazioni dei no global si ritrova con un presidente di destra che realizza il programma dei no global. E non si capisce chi si debba sentire più in imbarazzo: la destra che tifa per il no global Trump o i no global che si sentono finalmente rappresentati da un Trump?