Prima di finire in libreria, i testi attraversano itinerari lunghi e spesso tortuosi. Il saggio di Roberto Cicala “I meccanismi dell’editoria” è una lettura irrinunciabile per scoprire la storia di tanti capolavori
Ciascun libro che avete intenzione di comprare e che state sbirciando nella vetrina di una libreria ha dietro di sé una storia che viene da lontano e alla quale hanno messo mano in tanti. Il cumulo di queste storie si chiama editoria, è un ramo della nostra economia, ma sopratutto del nostro modo di vivere, in attesa di quell’intelligenza artificiale che scompaginerà del tutto le nostre abitudini. Il professor Roberto Cicala, docente all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Pavia, ne conosce ogni andito, ogni retrobottega, ogni episodio saliente, ogni personaggio seppure ignoto al grosso pubblico. Da qui l’irrinunciabilità della lettura del suo recente I meccanismi dell’editoria, appena pubblicato dal Mulino, un libro che la storia della moderna editoria italiana ve la rende palpitante.
Leggete, e imparerete come sono venuti alla luce i libri italiani che amate, dalle raccolte di poesia di Giuseppe Ungaretti di inizio secolo ai seducenti libri per ragazzi di Leo Lionni, apprestati dall’editrice Rosellina Archinto a cominciare dagli anni Sessanta. I libri hanno tutti un prima, un durante, un dopo. C’è quel momento in cui un autore pensa di dar vita a una balena che chiamerà Moby Dick e si mette a scriverne le gesta possibili, il successivo momento in cui un editore ci mette i soldi per far diventare realtà quel progetto purché sia accurato in tutti i suoi dettagli, il momento in cui il libro arriva in libreria e trova (o non trova) il suo pubblico. E qui le sorprese possono essere grandi. Nel senso che talvolta un libro, seppur nato in condizioni difficilissime, trova un grande successo. Nessuno in Urss voleva che si pubblicasse Il Dottor Zivago di Boris Pasternak, un libro che appariva una bestemmia per come raccontava il paradiso comunista. Per fortuna un debuttante editore italiano, il milanese Giangiacomo Feltrinelli, infischiandosene del parere del Partito comunista italiano cui pure apparteneva, disse che lui eccome se lo avrebbe pubblicato. Nel momento in cui Pasternak mise il testo originale del libro nelle mani di un collaboratore di Feltrinelli, Sergio D’Angelo, gli disse che a quel punto loro due erano bell’e pronti per essere fucilati. Pubblicato in prima edizione in Italia, il libro di Pasternak in poco tempo accumulò trenta edizioni. E anche se il suo autore non poté venire in Europa a ritirare il Premio Nobel che gli era stato assegnato.
Il testo saggistico di Cicala è interrotto da paragrafi dedicati a specifici casi editoriali che sono delle vere e proprie leccornie. Ad esempio dal racconto di come nacque la collana di libri tascabili Bur (Biblioteca Universale Rizzoli), alla quale noi lettori dobbiamo così tanto. “Quei libri umili, grigi, un poco degradati erano la grappa quotidiana di un giovane alcolizzato”, ne ha scritto Giorgio Manganelli. Avevano un triplice prezzo, dalle 60 alle 120 alle 180 lire a seconda del numero di pagine. Altrimenti, in che modo lo studente ventenne che non aveva un soldo in tasca, come il sottoscritto, avrebbe potuto accedere al fior fiore della letteratura di tutti i tempi? Con poche lire ti assicuravi un Cechov, un Balzac, un Romain Rolland. Oppure il paragrafo che Cicala dedica alle collane editoriali, le più importanti del dopoguerra: il posto d’onore non poteva non spettare a “I gettoni” einaudiani che s’era inventato Elio Vittorini, 58 libri pubblicati dal 1951 al 1958. Successiva è la voga del romanzo a fumetti, il cui maestro più noto in Italia è Hugo Pratt. Suo merito fu l’aver buttato giù la barriera – idiotissima – che fino a quel momento separava la letteratura dal racconto fondato sulle immagini.
Il libro di Cicala risulta particolarmente prezioso quando perlustra quello che ho chiamato il “retrobottega” dei libri che noi conosciamo nella loro veste definitiva. Ignorando il tanto lavoro che c’è dietro. E a questo proposito è appropriatissimo il ritratto di Grazia Cherchi (nata nel 1937, morta nel 1995), una che si presentava agli scrittori di cui si occupava editorialmente con una matita e una gomma. La matita serviva a indicare il punto del libro da migliorare, la gomma a cancellare quella segnalazione, ove lo scrittore l’avesse rifiutata.