La squadra neroazzurra ha mantenuto invariata la sua natura storica, la sua tradizione, rivelandosi a volte pazza, a volte saggia, a volte talentuosa e a volte solamente molto pragmatica e ora spera in un’altra vittoria in memoria di sé
La vittoria più dura è quella contro la storia, che infatti non si può sconfiggere. La storia oltre a inchiodarti alle tue responsabilità ti regala un profilo. L’Inter di oggi mi piace perché riflette la sua storia, con annessi comportamenti. Rispetto ai cugini milanisti, attraversati, in oltre mezzo secolo, da una scossa violenta chiamata Sacchi, l’Inter di Inzaghi è fortemente sovrapponibile a quella di Herrera e Invernizzi, di Bersellini e Trapattoni, di Mancini, Mourinho e anche di Conte. Grande difesa, grande contropiede. Con Arrigo Sacchi, il tifoso milanista, cresciuto nel ricordo delle trincee erette da Nereo Rocco, si è scoperto improvvisamente dominante soprattutto in Europa. Anche se quello di Sacchi è stato, checché se ne dica, un atteggiamento principalmente improntato alla protezione, dove però i difensori giocavano alti e in linea, avanzando in blocco con la squadra verso la porta avversaria, come un’onda che inesorabilmente scivola sopra la spiaggia. Così facendo il Milan di quei tempi, ha sommerso gli avversari senza permettergli di controbattere. Perduta, per vari motivi, la sua forza d’urto, l’onda di Sacchi non ha più saputo alzarsi, scemando lentamente.
E ciò che è arrivato dopo ha sconfessato quel modo di fare calcio: in pieno con Capello e Allegri, in parte con Ancelotti, Zaccheroni e Pioli, anche per il naturale evolversi di ogni tattica di gioco. L’Inter ha mantenuto invariata la sua natura storica, la sua tradizione, compreso quell’endemica inclinazione a soffrire, rivelandosi a volte pazza (amala!), a volte saggia, a volte talentuosa, a volte solamente molto pragmatica. A Monaco di Baviera la squadra di Inzaghi è stata tutte queste cose insieme, giocando, a mio parere, novanta minuti epici per applicazione tattica, rapidità di esecuzione e lucidità dentro la sofferenza. Sia nei primi dieci minuti della partita che per larga parte della ripresa, l’Inter ha subito il palleggio del Bayern senza perdere il controllo del gioco. Mai un calcio in tribuna, un lancio casuale alla ricerca di un improbabile destino. L’Inter ha vinto difendendosi alla grande e controbattendo con passaggi verticali, dritti all’obiettivo. Gli abbracci durante e dopo la partita da parte dei giocatori, gli sguardi di intesa e di complicità, hanno una volta di più dimostrato che senza il gruppo, nessuna impresa è realizzabile. Se pensate che sia retorica, siete distanti dalla verità. In attesa del ritorno, il cui esito resta appeso a un filo, l’Inter celebra la sua vocazione, sperando in un’altra vittoria in memoria di sé.