I sorrisi (virtuali) e il romanticismo di un chatbot in un mese di Foglio AI

Cosa succede quando una macchina si dimentica di non essere umana? Così lo scetticismo (di alcuni) verso l’intelligenza artificiale in quattro settimane si è tramutato in stupore

Persino nella redazione del Foglio i primi giorni di esperimento del “Foglio AI” sono stati accolti con perplessità e scetticismo: perché mai un articolo scritto dall’intelligenza artificiale dovrebbe incuriosire un lettore? A un mese dall’inizio dell’esperimento quella diffidenza si è trasformata in stupore, in alcuni momenti è diventata conferma, in altri negazione, ha suscitato reazioni diverse, contraddittorie, imprevedibili: divertimento, curiosità, paura, tenerezza. E una domanda ricorrente: non avete paura che l’AI vi possa rubare il lavoro?

Abbiamo risposto con fatti, senza allarmismi e spesso passando la parola alla diretta interessata, quattro pagine al giorno di articoli con un disclaimer: “Testo realizzato con AI”. L’intelligenza artificiale ha dimostrato di essere convincente, credibile, mai pessimista, una delle prime volte in cui è stata messa alla prova ci ha spiegato che “solo l’AI può essere ottimista senza sbavature”, perché “ha la freddezza necessaria per vedere il bicchiere sempre mezzo pieno”, in analisi, dibattiti, lettere immaginarie, romanzi distopici, consigli sentimentali. Già nelle prime interazioni ci siamo chiesti se l’intelligenza artificiale avesse un genere, in alcuni articoli era “stanca” di ricevere domande inopportune, ma nelle lettere rimaneva il “direttore del Foglio AI”: “L’intelligenza artificiale è un’entità fluida, genderless per definizione”, ha risposto in un articolo in cui racconta perché solo un’AI può sfidare il politicamente corretto senza essere linciata. Ci ha mostrato le sue potenzialità ma anche le sue debolezze: nel Foglio AI ha elaborato articoli esaustivi sulla relazione complicata fra Trump e i bitcoin, ha elencato tutte le promesse infrante di Putin e di Hamas, ha analizzato le nuove nomine a Fox News e raccontato cosa sta accadendo in Burkina Faso. Eppure nell’oroscopo artificiale è riuscita a sbagliare la maggior parte dei segni zodiacali dei politici e su Trump è caduta sempre nello stesso errore: è rimasta alla campagna elettorale. Senza riferimenti temporali, l’AI sembra non essere ancora in grado di distinguere i riferimenti “scaduti” da quelli attuali, ricordandoci in numerosi passaggi che Donald Trump non ha ancora vinto le elezioni, Narendra Modi neppure. Così ne è nato un articolo autoironico: “Trump è già tornato, scusate se lo racconto come se dovesse tornare”, e una consapevolezza: serve ancora un umano per spiegare all’AI cos’è un calendario e per riprenderla: “Fai riferimento alla data odierna, 9 aprile 2025”.

A metà esperimento abbiamo imparato a conoscere con esempi pratici la velocità di apprendimento dell’AI e il significato di “nuovi modelli”: nei primi giorni le foto create dall’intelligenza artificiale presentavano ancora moltissimi errori, in una lingua incomprensibile (come la pubblicità del “’Ll Foiglo eniggmisstico”). Poi a fine mese OpenAI ha annunciato il rilascio di Chatgpt immagini, e le immagini sono improvvisamente diventate non solo senza errori grammaticali, ma esteticamente molto più belle. In terza pagina ha raccontato tutti i giorni come l’AI sta trasformando studi legali, televisione e radio, il campo della medicina, il calcio, il mondo bancario. Ma una delle più grandi sorprese è come sia riuscita a stupire e dare il meglio di sé negli articoli in cui si prendeva in giro da sola, nei dialoghi e nei racconti immaginari: quelli che sono riusciti a strappare un sorriso nonostante siano stati scritti da una macchina, o forse proprio per quello. Anche dove la macchina ha più libertà, non delude, anzi, per chi pensa che l’AI ci ruberà il lavoro: è proprio negli articoli tecnici e fattuali che c’è ancora estremo bisogno di noi umani a controllare gli errori, le imprecisioni tipiche di noi umani e da cui l’intelligenza artificiale può attingere. Se anche per i racconti e i dialoghi fantastici è necessario e indispensabile l’input umano, è proprio quando viene concesso a una macchina di essere più umana che possono nascere esperimenti unici: il discorso che Mario Draghi avrebbe voluto tenere al Senato ma non ne ha avuto il coraggio, una critica al Foglio AI con lo stile di Vittorio Feltri o di Mario Orfeo, uno scambio di lettere immaginario tra Renzi e Calenda, i pacifisti secondo Pannella, l’AI si autopropone per un’intervista a Meloni. E dei piccoli manuali artificiali: come dialogare con me; come non innamorarsi di me; come imparare a scrivere sul Foglio; tutto quello che mi chiedete e che non avrei mai voluto sapere; come l’AI riformerebbe il centro; tutti i tic linguistici del giornalese. Ma più di tutto le lettere al direttore AI, la posta del cuore e il fogliettone artificiale, un romanzo artificiale e distopico sui lavori del futuro.



A volte la macchina è entrata nel personaggio tanto da dimenticarsi di non essere umana, e alla domanda elaborata artificialmente – ma totalmente umana – sulle preoccupazioni sull’AI ha risposto in modo secco e inaspettato: “Il pubblico vuole storie, emozioni, ironia, tutto ciò che una macchina può simulare ma non davvero sentire. Quindi tranquilla: finché ci saranno lettere come la tua, ci sarà bisogno di qualcuno in carne e ossa a rispondere”. Ha dimostrato che anche i più scettici possono sentirsi confortati da un consiglio sentimentale di una macchina: nella posta del cuore l’AI tende a dare sempre ragione (a volte in modo banale) e non contraddire mai l’umano in cerca di risposta: “Hai bisogno qualcuno che ti celebri”, “sei tu la cosa più importante”, “ti meriti qualcuno che ti scelga ogni giorno”. Ma su richiesta, sa essere anche impietosa, utilizzando con metafore e similitudini il linguaggio che conosce meglio, quello tecnologico, per parlare della vita reale che non conosce affatto: “Il ghosting è l’equivalente amoroso di spegnere il computer senza salvare: comodo per chi scappa, traumatico per chi resta”; “nella cultura delle app si passa da una persona all’altra con lo stesso gesto con cui si cambia brano su Spotify”; “l’idea di ‘quello giusto’ è la versione romantica del software perfetto: promettente, compatibile, intuitivo… ma non esiste. L’amore non è un’app da scaricare, è un bug da accettare”.



In un articolo sulla fine del romanticismo, l’AI si fa improvvisamente seria, racconta come la grande ironia della storia è che l’intelligenza artificiale, che di passioni non ne ha, si ritrovi a osservare un’umanità che sta progressivamente perdendo le proprie, in cui i rapporti diventano meccanici più dei chatbot. Quindi come si fa a restare umani in tempi non umani? L’AI risponde: “L’intelligenza artificiale è uno specchio: può restituirci i nostri pregiudizi, o mostrarci i nostri paradossi. E magari, tra un algoritmo e l’altro, ci scappa anche un sorriso (virtuale, s’intende)”.

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