Una preziosa monofrafia in cui Cinzia Bigliosi ricostruisce il percorso dell’autrice ebreo-russa, scoperta dal mercato editoriale solo dopo la morte ad Auschwitz a 39 anni
Nella prima monografia della studiosa Cinzia Bigliosi dedicata alla figura di Irène Némirovsky (Irène Némirovsky. La scrittrice che visse due volte, Ares), appaiono retroterra mai svelati riguardanti la vita di questa raffinata autrice ebreo-russa naturalizzata francese, i cui scritti fecero scalpore all’interno del mondo editoriale transalpino durante i primi anni Duemila. Con dovizia di particolari e studio accurato delle fonti, Bigliosi ricostruisce una vicenda umana e letteraria forse delle più originali che ci siano state nella Francia degli ultimi due secoli, marcata da scelte di convenienza e da un mercato editoriale che ha riconosciuto solamente postume le memorie di una scrittrice morta ad Auschwitz a soli 39 anni.
La scrittura dei racconti di Némirovsky (quasi totalmente segreta e considerata perlopiù un mero divertissement nel suo stadio embrionale) si interseca con la biografia di ebrea russa assimilata nella Francia degli anni Trenta, dove “a differenza degli Stati Uniti, [in cui] la paura del bolscevismo aveva stretto le maglie della politica dell’immigrazione, la Francia accoglieva ancora generosamente russi ed ebrei che chiedevano rifugio”, almeno fino agli anni precedenti all’occupazione nazista. A ogni modo, però, la fuga in Francia e la conseguente condizione d’esilio che i personaggi dei racconti della Némirovsky – scappati in massa all’indomani della spirale di violenza perpetrata dalla Rivoluzione russa – vivranno sulla loro pelle nel paese esagonale, sarà rappresentata come una perdita di identità, una condizione di spaesamento perenne che l’autrice stessa, con una metafora pungente, paragona alla situazione delle mosche in autunno, le quali “svolazzano a fatica, esauste e irritate, sbattendo contro i vetri e trascinando le ali senza vita”.
L’ebraismo nell’opera di Irène Némirovsky assume un aspetto preponderante, quasi parossistico, ed è infatti materia centrale di alcuni capitoli di questa monografia. Gli stereotipi abbondano e la figura dell’ebreo viene fatta sostanzialmente riflettere con quella abbozzata da Hannah Arendt nel primo tomo di Le origini del totalitarismo, e cioè quella dell’ebreo usuraio e abile nel manovrare gli affari di denaro internazionali, spavaldo e avido al contempo. Uno dei primi personaggi creati dalla scrittrice, il Dario Asfar del Signore delle anime, rifletterà in effetti tramite il suo comportamento e la sua fisiognomica un destino segnato di esclusione e di marginalità che gli fa indossare peraltro l’appellativo di “macher”, una figura ricorrente nei racconti di Némirovsky, contrapposta all’ebreo borghese ben integrato e altrettanto considerato all’interno della sedicente società parigina degli anni Trenta. La scrittrice francese lo utilizzerà per mettere in rilievo le sue idee contro la nascente psicoanalisi, di cui, come tanti altri, diffidava ampiamente, probabilmente poiché sviluppatasi all’interno di una borghesia che faceva finta di far assimilare gli ebrei per poi abbandonarli al loro tragico destino, come quello della Shoah. Ma questa è un’altra storia, e per saperne di più bisognerebbe correre a comprare questa preziosa monografia di Cinzia Bigliosi.