Dal salotto buono al Salone del mobile. Prada conquista Versace e col polo del lusso italiano sbaraglia i francesi a Milano
Nella nuova forma di preghiera dell’uomo moderno, il meme, si sprecano in questi giorni le facce incrociate, generate con AI o senza, di Miuccia Prada e di Donatella Versace, a seguito della annunciata fusione che crea il gruppone (alleluja) del lusso italiano. Dunque, memando, “Versada” (che sembra un farmaco per la disfunzione erettile) o “Pradace” che fa molto “Liberace”, ma intanto si prova anzi riprova a farlo, codesto polo del lusso, mentre il lusso affonda in tutto il mondo (e pure il mondo non si sente tanto bene). La prima volta, vent’anni fa, la Signora, come viene chiamata a Milano Miuccia, aveva provato già a comprarsi Helmut Lang e Jil Sander, le scarpe Church’s e soprattutto Fendi, la firma romana rilevata insieme ad Arnault, ma poi non era andata bene, si dice che in Italia i poli come le rivoluzioni non si possono fare, non perché ci conosciamo tutti ma perché manca il sistema paese (Giorgia Meloni del resto ha dato buca alle sfilate e pure al Salone del mobile in questi giorni, e l’unico premier che si sia mai messo in prima fila a un défilé, Matteo Renzi, fu visto con grande sospetto e forse gli portò anche male. Vero, prima ci fu Craxi con Trussardi (e forse portò male anche lì, ma Trussardi era forse percepito come accessori, dunque meno fru fru). Però, anche se la moda vale quasi come l’edilizia, mai si sono avuti superbonus o “graduidamende” per gli abitucci (intanto Giuseppe Conte, che è quello che è ma ha un tempismo e un senso dell’opportunità pazzeschi, è arrivato per primo al Salone, battendo tutti di sguincio, facendosi fotografare avvolto in spire di lampade Led aureolate tipo Padre Pio della Federlegno).
Mancava forse anche una certa maturità, ai tempi, alla Signora e al Gruppo, per diventare un po’ Arnault di sé stessi, mentre oggi Prada si pappa Versace anche con un’operazione “di sistema” e “di salvataggio”, raccontano a Milano, perché se non se la comprava la Miuccia, diciamolo con chiarezza, Versace era bella che spacciata, medusa o no. Certo, la Miuccia se la pappa forte anche di fatturati clamorosi, ma mica è poco in questa fase. Se i rivali di Pinault han perso oltre la metà del valore di Borsa, Prada fa più 17 per cento nell’anno tremendo 2024, con 5,4 miliardi di ricavi e il marchio Miu Miu è cresciuto addirittura del 93 per cento. Anche, un “sistema paese” dovrebbe fare a Prada un monumento, unica non solo che non vende ma che compra pure: a partire proprio da Milano. Lì Arnault si è preso la villa degli Atellani in corso Magenta, ma il Pinault di Pinault proprietario della Gucci ora cerca di sbarazzarsi invece dell’ingombrante palazzone a via Montenapoleone 8 pagato chiaramente in piena bolla un miliardo e tre, cioè più della Versace stessa, pagata 1,25 con codice sconto Trump.
Milano del resto è il salone dell’immobile. In questi giorni in città di mobile c’è pochissimo, in fiera non ci va nessuno, salvo Conte, e nei “pop up store” e negozi e boutique gli eventi ed eventini sono colonizzati dalla moda, e di nuovo cioè soprattutto Prada. Fin dall’accoglienza col treno Arlecchino (versione corta del mitico Settebello) che in Centrale accoglie (nell’ala reale) visitatori che fanno la fila per talk curati dal duo Formafantasma, architetti della Real Casa di Miuccia (nel mondo Prada tutto ha un ruolo preciso, ecco la coppia vestita coordinata, uno in braga corta, l’altro con un cappottone nero da ispettore Derrick che ricorda l’altro amore architettonico e forse non solo della Miuccia, Rem Koolhaas).
E’ la settimana dei “takeover” dei vari marchi su negozi e musei e cartolerie e stazioni e qualunque luogo sia o possa diventare “igonigo” nella sagra del calicino e del Qr code (senza Qr code non vai da nessuna parte, il Qr code è il vero protagonista di questo Salone, te ne chiedono anche tre diversi per entrare ai fondamentali eventi, ma una volta dentro, spesso, non c’è niente. La stanza dei bottoni, pardon del mobile, è vuota. Però che città, che Qr code!).
Nel salone dell’immobile, il takeover di Miuccia su Milano da anni è totale: Prada è un mondo coi suoi artisti (Francesco Vezzoli) i suoi architetti e le sue pr (Verde Visconti), una foresta di simboli verticale e orizzontale con le signore e i signori in giro col calzettino e il mocassino, come tanti seguaci di una setta molto morigerata che vede la Signora come la madonna pellegrina della Galleria Vittorio Emanuele (dove tutto nacque, con la valigeria di famiglia).
Sì certo, c’è Armani, però neanche comparabile il peso culturale sulla città. E poi anche lì differenze, non c’è un piano per la successione, siamo più sulla strada “après moi le déluge”, e si dice da anni che finirà nell’orbita Elkann (la moglie di John è appassionata di moda e anche la Ferrari sta investendo molto nel settore). La Signora invece (che è molto più amica della sòra Donatella che di Armani) ha pensato a tutto.
Anche a farci leggere! In questi giorni, un saloncino del libro più chic di quello torinese col “Miu Miu Literary club” che per la seconda volta raduna scrittrici a discutere di altre scrittrici, possibilmente con qualche cognome simil nobiliare, l’anno scorso Alba de Céspedes quest’anno Simone de Beauvoir (i maschi, con de o senza, possono solo ascoltare. Grrr! E’ un attimo che si diventa incel).
E nel Circolo Filologico milanese, questa la sede prescelta, moquette, velluti, cocktail, dj set, sovraccoperte Miu Miu delle opere di de Beauvoir, ton sur ton anzi in palette coi fiori. Lusso calma e voluttà, tutto però in inglese, fin dalla fila per entrare, e mostrando il Qr code ti chiedono: “are you here for the conversescion?”; “Sì”, rispondiamo in lingua originale e locale. “Ah siete italiani!” (sguardo spiazzato, caritatevole dei controllori del Qr code); be’, sì, siamo a Milano, a un evento di un marchio italiano… “Potete switchare sull’inglese”, consiglia una gentile ragazza nella immensa coda, oltre che maschi siamo pure italiani! Un disastro. Intanto modelle filiformi si mischiano a scrittrici col capello fatto ed editor col vestito buono, e noi malvestiti complessati maschi bianchi, e Veronica Raimo splendida tutta in Miu Miu che ricorda certe lotte contro il capitalismo e il G8 e il No logo, “anche se capisco il paradosso di dirlo qui oggi”, in inglese senza possibilità di auricolari (chi l’avesse chiesta, l’auricolare, avrebbe fatto la fine di Fantozzi al ristorante giapponese, sciabolato, ma non come Lacerenza nella Gintoneria); certo che invidia rispetto alle nostre presentazioni dei libri con la Ben Cola! E che tentazione di presentarsi magari con Rita De Crescenzo (pur sempre femmina e con un “De”, magari a declamare immortali versi partenopei di Roberto De Simone… per vedere l’effetto che fa… De… De…).
Intanto limousine scaricano influencer cinesi che prendono appunti in cinese su Simone de Beauvoir (pronuncia: deBùvuar) e ci si chiede: saranno dottorande di Shanghai? Spie di Pechino pronte a coltivare un potere culturale venuta meno l’America? Ma poi se all’ingresso c’è il test di inglese, per simmetria e par condicio all’uscita ce ne vorrebbe uno di letteratura, sottoporre tutti questi insospettabili letterati a una prova Invalsi: spieghi il candidato (anzi, the candidate) la poetica del Pascoli. I Promessi sposi sono di Manzoni o Edoardo Prati? La Recherche di Gio Evan o Proust? Forse si è più preparati su Céline (immortale non per Viaggio al termine della notte ma per le collezioni sublimi di tanti anni fa).
Confidiamo presto in un Versace Book Club magari a Reggio Calabria. Magari by Rubbettino? Per autori mediterranei solo maschi! Con tanti bronzi di Riace… in italiano… per i bro…
Ma intanto la Miuccia fa e disfa e decide, e pare che questa operazione, sì insomma la fusione con Versace, l’abbia voluta proprio lei, d’intesa col rampollo, Lorenzo Bertelli, che è sempre più esposto e visibile ed è sempre più il successore. La Signora (la moda è l’unico settore in cui in Italia non si ricorra istericamente al “dottore” e “dottoressa”, anche nell’epoca delle università telematiche – il signor Giammetti, il signor Armani…) se la comanda su Milano, è chiaro, da mo. I più anziani ricordano che a un certo punto fu tentata dalla discesa in campo, sì, d’essere sindaca. Si era nel 2006 e bisognava rispondere alla candidatura di Letizia Moratti, e i sodali entusiasti la incitavano, e lei è pur sempre l’unica stilista al mondo ad aver un dottorato in scienze politiche.
Salvo che poi Renato Mannheimer, amico allora molto in voga, aveva fatto un sondaggio riservato da cui risultava che il marchio Prada non attecchiva nelle periferie (e non erano ancora di moda Rozzano e i maranza). Pare che Miuccia fosse pronta a gettarsi comunque nell’agone, ma il marito Patrizio Bertelli meno (poi la sinistra candidò il prefetto Bruno Ferrante e perse lo stesso). Ma la Signora capì che lei sceicca, doveva essere, non sindaca, e di un potere dunque soft, di questi nuovi Emirati Arabi Milanesi, altro che magari andare a palazzo Marino e perdersi tra le rogne, e al novanta per cento finire indagata e intercettata (finalmente delle intercettazioni che leggeremmo volentieri, però). Così ha scelto di non apparire, ma di comandare nell’ombra. Silenziosa e riservata come Enrico Cuccia, le azioni Prada (a Hong Kong) si pesano ma si contano pure, e che conti!
E se quest’anno sono 10 anni dal sacro rito e lavacro che salvò e rilanciò Milano, l’Expo, è anche il decennale dall’apertura della sede della Fondazione Prada, quell’avamposto diventato proverbiale (dove abiti? “in” Fondazione Prada, dicono ormai i gentrificatori-gentrificati con orgoglio) con la ex distilleria rivestita in vera foglia d’oro e il resto, per film mostre sfilate imprescindibili in quel nuovo avamposto (anche base per Milano-Cortina). C’era chi azzardava un “SoPra”, South of Prada, con acronimo urbanistico di cui i milanesi sono notoriamente ghiotti, ma “dal Prado a Prada” del resto era il sottotitolo di un saggio sull’“International Journal of Urban and Regional Research”, in cui si teorizza il passaggio da una città “classica” a una città-evento, città-festival che conta sul museo d’arte contemporanea per darsi un tocco internazionale e cosmopolita. Quindi in continuità con altre company town come il Villaggio Crespi a Crespo, o la Zingonia degli Zingone però con le week, Milano è diventata land of Miuccia. Anche qui un primato. Non c’è a Roma una “Fendopoli” o a Parigi una “Ville Dior”. Neanche Arnault è arrivato a tanto.
Tra Prada e la Capitale, naturalmente invece clash culturali: a un party in suo onore a Palazzo Ruspoli due anni fa la Signora arrivò giù da Milano col Bertelli in una sera di tempesta, molto in ritardo, costernata, spiegando agli ospiti “aux anges” che “l’aereo andava su, poi tornava giù, allora gli ho detto al nostro pilota, che peraltro è addestratissimo, ma insomma andiamo su o giù?”. Totally Franca Valeri nel “Vedovo”. Scontri di civiltà anche tra le leggendarie tartine Prada by Marchesi minuscole, con cetriolino, di ogni evento pradesco, e i colossali supplì e fiori di zucca dei pranzi romani. Ma a Roma funziona tutto diversamente, si sa; lì tanti anni fa una principessa molto coltivata a una dama che la chiamava a gran voce “signora, signora” rispondeva (abituata a sentirsi dare almeno della “principessa” se non della “eccellenza”): “signora sarà lei”.
Incomunicabilità? Se oggi si cercano le similitudini con la Sòra Donatella (Versace), a disegnarle non potrebbero essere più diverse (Calabria, platinatura, plastiche, lutti floridiani e sostanze, contro Porta Romana, Italo Lupi, cementite, Germano Celant, luci fredde, Engadina); va detto però che le due sono amiche e certi cliché potrebbero trarre in inganno (gli aerei e gli elicotteri grigio militare per esempio potrebbero benissimo essere della Donatella, e je piacerebbe, ma son invece della Miuccia). Ma il paragone vero andrebbe fatto con Bernard Arnault, il grande “polista” e conquistatore di Milano. Che pare irruento almeno quanto il Bertelli. Li accomuna anche un gusto del real estate: non c’è polo del lusso senza il mattone, signora mia, e se Miuccia ha fondato la sua città con licentia populandi a Milano Sud, il sòr Arnault possiede mezza Parigi. Se Arnault compra partecipazioni in quasi tutto (dai giornali come Les Echos e Le Parisien alla pasticceria Cova, ai cristalli di Baccarat) Bertelli si concede piccoli trofei provinciali, la pasticceria rivale Marchesi, il caffè Principe a Forte dei Marmi, il cachemire Fedeli, e se Arnault ha i giornali, Bertelli rileva una storica edicola nella natìa Arezzo.
E poi c’è la successione, appunto con l’erede Lorenzo pronto, più che pronto, anche a fronte di un padre che ha 79 anni e qualche acciacco. Lorenzo è laureato in filosofia con Massimo Cacciari, come del resto Barbara Berlusconi (insomma Cacciari verrà ricordato come l’Abate Parini istitutore delle nuove dinastie milanesi). In azienda è direttore marketing e responsabile della Corporate Social Responsibility, tutto in inglese, quei titoli lunghi che non dicono nulla ma che preludono a quelli seri e corti che dicono tutto. E’ dottore, ma presto anche lui sarà Signore.