Il presidente americano ha fatto un parziale passo indietro (forse perché guarda tanto Fox News) ma i danni di questa settimana post Liberation day sono destinati a durare. La falsa dicotomia tra risparmiatori e investitori e l’incertezza che stravolge ogni cosa
Donald Trump ha fatto un parziale passo indietro livellando i dazi a tutti i paesi al 10 per cento tranne la Cina – e forse è stata decisiva la più improbabile delle ragioni, cioè Fox News, che nella giornata di mercoledì, prima che fosse introdotta la pausa, ha avuto ospiti preoccupati e cauti e ha prodotto servizi quasi canzonatori nei confronti del pur amatissimo presidente, come quello su “tutte le volte che Trump ha cambiato idea”. I danni di questa settimana post Liberation day sono però destinati a durare, anche se l’Amministrazione cerca ogni giorno una giustificazione diversa a una politica che, nonostante gli sforzi, non mostra nessun lato positivo. L’ultima è quella accennata da Trump e confermata dal suo segretario al Tesoro, Scott Bessent (che nella galassia di yes men che circonda il presidente è considerato, non si sa se a ragione o no, tra i più cauti sui dazi), secondo cui questo governo americano ha a cuore “Main Street”, cioè i risparmiatori e i consumatori della classe media, più che Wall Street, cioè i ricchi, gli investitori facoltosi, i finanzieri (Bernie Sanders direbbe: gli oligarchi). “E’ il turno di Main Street – ha detto mercoledì Bessent – E’ il turno di Main Street di assumere lavoratori. E’ il turno di Main Street di guidare gli investimenti ed è il turno di Main Street di ripristinare il sogno americano”. Il Wall Street Journal, che è un giornale conservatore e spesso anche trumpiano ma che sulla questione dazi è disperatamente critico, scrive in un suo editoriale che “mettere Wall Street contro il resto del paese è una delle cose ritrite del manuale del populismo fasullo”, è un’argomentazione molto utilizzata dalla sinistra radicale ed “è senza senso: Wall Street, cioè i mercati azionari e finanziari, è parte integrante della prosperità di Main Street. Circa il 60 per cento degli americani possiede azioni direttamente o indirettamente attraverso i loro piani pensionistici. Quando le azioni crollano, come hanno fatto da quando Trump ha svelato la sua politica sui dazi, questi investitori soffrono più dei partner di Goldman Sachs perché il loro margine di pensione sicuro è molto inferiore. L’attività finanziaria è anche cruciale per far crescere le imprese che impiegano lavoratori: gli investitori con capitale si assumono i rischi sulla crescita delle aziende. Quando le aziende hanno successo, i finanziatori hanno un ritorno, quando falliscono, possono perdere il loro investimento o il loro prestito”. I repubblicani l’hanno sempre capita bene questa cosa, conclude il Wall Street Journal, ma ora non più.
Anzi, come scrive Derek Thompson sull’Atlantic, l’ambizione di Trump di aggiustare le fondamenta dell’economia e quindi della società americana si sta rivelando una ruspa che tira giù la stessa America. La manifattura statunitense, Main Street per eccellenza, non se la passava bene nemmeno prima di questo choc: i posti di lavoro nel settore sono diminuiti in percentuale dell’economia negli ultimi 20 anni (ed erano crollati nei 50 anni precedenti); la produzione industriale totale degli Stati Uniti è stabile dal 2007 e si fatica a produrre macchine ad alta tecnologia che sono cruciali per la sicurezza nazionale: “Non possiamo costruire navi – scrive Thompson – Il nostro arsenale militare è obsoleto e dipendiamo da altri paesi per produrre i chip più avanzati. E intanto la Cina sta spendendo trilioni di dollari per espandere la propria posizione da colosso manifatturiero”. E Trump cosa fa? Con i dazi mette a repentaglio il mercato del credito (che secondo Bloomberg è “paralizzato”) che è fondamentale per questo settore, blocca di fatto l’importazione di componenti essenziali delle linee di produzione americane, invece che rafforzare le catene di approvvigionamento assaltate dai prodotti cinesi a basso prezzo le fa saltare in aria, in particolare quelle con i vicini, Messico e Canada, e con il mercato di riferimento più rilevante, l’Europa, e condisce il tutto con una volubilità pericolosa. Wall Street di certo non ama l’incertezza, ma ha avuto modo di sanzionarla in questi giorni di crollo, Main Street no, questo potere non ce l’ha (non ora, semmai quando si andrà a votare) ma paga il prezzo di non sapere come staranno le cose nemmeno domani. Thompson, che ha appena pubblicato assieme al giornalista del New York Times Ezra Klein il libro più letto dall’establishment progressista, “Abundance”, cerca di decifrare giorno per giorno la volontà trumpiana, ma si scontra, come tutti, contro un caos pernicioso. La conclusione di quest’ultimo suo articolo è: “Le politiche di Trump stanno danneggiando i produttori americani, stanno sconvolgendo il sistema finanziario americano”, e il presidente americano ha detto di voler salvare l’economia degli Stati Uniti, “che Dio ci aiuti se mai decidesse di volerla distruggere”.