Il presidente americano ha tolto a Krebs le sue credenziali governative e ha chiesto al dipartimento della Giustizia di aprire un’inchiesta. Poi ha definito Taylor un “traditore”
Dazi a parte, Donald Trump continua la sua vendetta che, sotto forma di firma sui decreti, si muove anche verso chi ha provato a fare il suo dovere quando lui, nel 2020, da perdente provava a dichiararsi vincitore. Trump non ha mai accettato la sconfitta elettorale, ha accusato Joe Biden e i democratici di essere degli impostori, e ha costruito la retorica che ha portato all’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Le ultime vittime della vendetta trumpiana sono Christopher Krebs e Miles Taylor. Krebs, all’epoca a capo dell’Agenzia della cyber sicurezza del dipartimento di Sicurezza nazionale, aveva supervisionato le elezioni del 2020, dicendo che le accuse di frode da parte dei repubblicani erano ingiustificate. Trump lo licenziò con un tweet. Taylor, esperto di sicurezza, e già dentro l’Amministrazione di George W. Bush, era stato scelto allora da Trump come capo di gabinetto del dipartimento di Sicurezza nazionale.
Nel 2018, firmandosi “Anonymous”, aveva scritto un articolo sul New York Times dal titolo: “Io sono parte della resistenza dentro l’Amministrazione Trump”, e aveva contraddetto le rivendicazioni sui brogli. Taylor, tra i responsabili per i controlli sulla sicurezza del voto, aveva poi testimoniato davanti alla commissione sul 6 gennaio, criticando i leader del Partito repubblicano per aver amplificato le teorie cospirazioniste trumpiane sulle presidenziali rubate.
Mercoledì, con un tratto di penna, Trump ha tolto a Krebs le sue credenziali governative e ha chiesto al dipartimento della Giustizia di aprire un’inchiesta nei suoi confronti, definendolo un “attore in cattiva fede che ha abusato della sua autorità”. Il presidente ha poi definito Taylor un “traditore”, punendolo con un’investigazione per aver pubblicato “illegalmente” alcune conversazioni private in un libro molto critico sul primo mandato di Trump. Taylor ha risposto su X dicendo che “il dissenso non è illegale”.