Tutte le frasi di Trump vere che sembrano scritte da un’AI impazzita

Nel 2025 Trump comunica come una macchina fuori controllo: frasi surreali, attacchi imprevedibili e slogan grotteschi trasformano ogni discorso in uno spettacolo. Più che persuadere, impone la sua presenza nel linguaggio e nell’immaginario collettivo

C’è una battuta che circola tra i giornalisti americani da qualche settimana: “Trump non ha bisogno di un discorso, ha un algoritmo”. Sembra tutto generato da un’intelligenza artificiale addestrata su wrestling anni Ottanta, monologhi da bar e tweet di Elon Musk. E invece è la realtà. Il Trump 2025 è tornato più trumpiano che mai, e non fa sconti a nessuno. E ogni volta che apre bocca, consegna al mondo una nuova frase che sfida la grammatica, la logica e la diplomazia internazionale. L’ultima, e forse più iconica, è quella pronunciata davanti ai donatori del Partito Repubblicano a inizio aprile, mentre giustificava la sua nuova ondata di dazi: “Ora mi baciano tutti il culo. Tutti. Macron, Scholz, perfino Trudeau. Vogliono tutti i miei accordi. Prima mi prendevano in giro. Ora pagano.” Le risate in sala sono state nervose. Qualcuno ha provato a interpretarla come iperbole negoziale. Ma la sensazione era chiara: il Trump del 2025 non è interessato a sembrare credibile. Vuole solo essere indimenticabile. Ecco perché ogni suo comizio è diventato una masterclass di realismo grottesco. Il 18 febbraio, parlando dell’Ucraina, ha definito Zelensky “un dittatore che si è dimenticato di fare le elezioni”. Quando gli hanno fatto notare che c’è una guerra in corso, ha risposto: “Lincoln ha fatto elezioni durante la guerra civile. Zelensky no. È perché ha paura di perderle. Punto.” Il fatto che Trump stesse, nello stesso momento, elogiando Vladimir Putin come “un uomo d’onore che sa trattare” non ha stupito nessuno.



Poi c’è stata la conferenza in Texas, quella in cui ha spiegato la sua visione dell’Europa: “Sono stanco di pagare per questi parassiti. Hanno treni bellissimi, vacanze di sei settimane, e poi piagnucolano perché non vogliono aumentare le spese militari. Basta.” L’uso del termine parassiti è stato rivendicato con orgoglio. “Sì, parassiti. Non ho paura delle parole vere.” Tra una provocazione e l’altra, Trump ha anche trovato il tempo di dare la sua opinione sulle auto elettriche: “Sono tristi. Silenziose. Non hanno anima. Sono come i democratici.” Il paragone ha avuto un successo tale che è diventato uno slogan da maglietta. In Florida c’è già un merchandising non ufficiale: “Bring back the noise – Make America rumble again”. Ma c’è di più. A gennaio, parlando alla convention delle famiglie cristiane, ha raccontato: “L’intelligenza artificiale è interessante. Ma io preferisco la mia intelligenza, quella naturale. Che funziona meglio. L’ho sempre detto: se l’AI fosse viva, voterebbe per me.” Nessuno ha capito se fosse un attacco alla tecnologia, un autoelogio o un nuovo personaggio immaginario. Ma in sala hanno applaudito.



Durante un comizio in Iowa, invece, si è lasciato andare a un passaggio mistico: “Se fossi un dittatore, avremmo risolto tutto in sei mesi. Ma non lo sono. Per ora.” Pausa. Risate. Panico tra gli staff. Il giorno dopo, un suo consigliere ha detto che era una “battuta”. Ma era la stessa cosa che disse nel 2016, quando propose di “registrare i musulmani” per ragioni di sicurezza. Allora sembrava una follia. Ora è retrospettiva. Anche i rapporti internazionali sono diventati scenette. Quando il premier britannico Keir Starmer ha criticato i dazi, Trump ha detto: “Ah, quel tipo. Chi è? Il capo dei socialisti eleganti? Non mi ricordo nemmeno il suo nome.” Quando gli hanno fatto notare che Starmer era appena stato a Washington, Trump ha risposto: “Forse era in fila per un passaporto.” Il bello (o il brutto) è che tutto questo funziona. I suoi sostenitori adorano questa lingua alternativa. La trovano sincera. “Finalmente uno che parla come noi”, dicono. I giornalisti si affannano a decifrarlo, mentre lui li accusa di “essere peggio dell’intelligenza artificiale: almeno la AI non ha l’agenda woke”.

La verità è che il Trump del 2025 ha imparato a parlare come una macchina generativa che ha letto solo sé stessa. Si autocita, si reinventa, si pasticcia. Le sue frasi sono talmente sopra le righe da sembrare uscite da un romanzo distopico, eppure sono il contrario della finzione. Sono l’incarnazione politica di un mondo che ha smesso di distinguere tra assurdo e reale. A ogni comizio, ci si aspetta il nuovo tormentone, il nuovo insulto, la nuova allucinazione grammaticale. La logica narrativa non è più quella della persuasione, ma della dominazione dello spazio linguistico. Trump non cerca di convincere: cerca di colonizzare l’immaginario. E ci riesce. Perché in un mondo dove l’intelligenza artificiale è vista come una minaccia, Trump è la controprova che anche quella umana – se lasciata senza filtri – può generare risultati ancora più imprevedibili. Ma purtroppo molto più efficaci.

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