I dazi spiegati con le guerre economiche nel mondo di Trump

Perché la geografia delle divisioni economiche nel mondo trumpiano ci dice molto sul futuro dell’America. Il caos che gli americani chiamano “the art of deal”, dopo l’annuncio della riduzione al 10 percento dell’aumento dei dazi previsto

Donald Trump ha iniziato la giornata mostrando i muscoli durante una cena del National Republican Congressional Committee: “Tutti i paesi ci stanno chiamando per baciarmi il culo. Muoiono dalla voglia di fare un accordo”. L’ha chiusa con un post sul social network Truth, tornando sui suoi passi, riducendo i dazi appena introdotti con il Liberation day per 90 giorni: “Sulla base del fatto che oltre 75 paesi hanno convocato i rappresentanti degli Stati Uniti per negoziare una soluzione… e che questi paesi, su mio forte suggerimento, non hanno in alcun modo, forma o modo reagito contro gli Stati Uniti, ho autorizzato una pausa di 90 giorni e un dazio reciproco sostanzialmente ridotto al 10 per cento durante questo periodo, con effetto immediato”. Contemporaneamente, Washington ha aumentato i dazi sulla Cina.

“A causa della mancanza di rispetto che la Cina ha mostrato nei confronti dei mercati mondiali, aumento i dazi applicati alla Cina dagli Stati Uniti d’America al 125 per cento, con effetto immediato”, ha aggiunto Trump. Dopo l’annuncio del presidente e i lanci di agenzia che hanno parlato di sospensione dei dazi per 90 giorni le azioni statunitensi sono schizzate. Sebbene il segretario al Tesoro Scott Bessent abbia poi dovuto spiegare meglio il post confuso di Trump, precisando che si tratta di una riduzione temporanea dei dazi aggiuntivi al livello minimo del 10 per cento per tutti, è il segnale che i mercati attendevano. L’indice di riferimento di Wall Street, S&P 500, è balzato del 6 per cento subito dopo il post sul social network mentre il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici, è balzato di quasi l’8 per cento. La svolta repentina, sia per la modalità di comunicazione sia per il processo decisionale, mostra solo la confusione che regna nell’Amministrazione Trump e che, di conseguenza, viene disseminata sui mercati. Su un tema, peraltro, quello del commercio internazionale, che era abituato a cambiamenti lenti che maturavano al termine di negoziati lunghi diversi anni.



Solo due giorni prima, il 7 aprile, si era diffusa la notizia che l’Amministrazione Trump stesse considerando una sospensione per 90 giorni dei dazi annunciati il 2 aprile. I mercati avevano reagito positivamente e le azioni si erano impennate dopo che alcune agenzie avevano rilanciato la notizia, frutto dell’interpretazione di una risposta di Kevin Hassett, direttore del National Economic Council del presidente: “Penso che il presidente deciderà cosa vorrà decidere”, aveva detto su Fox News a una domanda su una possibile pausa dei dazi. Subito dopo, però, a deprimere di nuovo i mercati è arrivata una smentita della Casa Bianca che ha bollato come “fake news” l’ipotesi che due giorni dopo si è rivelata vera. In questo breve lasso di tempo sono successe diverse cose, fuori e dentro dal cerchio magico di Trump. Dall’esterno è aumentata la pressione politica, anche da parte di importanti esponenti repubblicani come Rand Paul e Ted Cruz, contro le ripercussioni economiche ed elettorali che i dazi avrebbero provocato. A queste, si sono aggiunte le dichiarazioni dei più importanti esponenti di Wall Street, uno su tutti Jamie Dimon di JP Morgan, che ha parlato chiaramente dell’impatto negativo sia sull’inflazione sia sull’attività economica, con una prospettiva sempre più probabile di entrare in recessione.



All’interno del mondo trumpiano è scoppiata una guerra, che si è svolta anche pubblicamente sui social network, tra l’ala che rappresenta il mondo dell’industria e della finanza e gli esponenti del movimento Maga nell’Amministrazione. Elon Musk, che si è espresso per l’abbattimento dei dazi, si è scambiato pubblicamente degli insulti con Peter Navarro, il principale consigliere i Trump sul commercio. Navarro aveva detto che Musk è solo un “assemblatore” di auto, peraltro fatte con componenti importate da Cina e Giappone. Musk ha risposto dicendo che Navarro è un “idiota” e “più stupido di un sacco di mattoni”. Il gestore di hedge fund Bill Ackmann, finanziatore di Trump, aveva attaccato frontalmente il segretario al Commercio Howard Lutnick accusando di essere in “conflitto d’interessi” con la sua politica a favore dei dazi. Poi Ackmann si è dovuto scusare, ma ha rilanciato la richiesta di una sospensione di 90 giorni dei dazi perché altrimenti molte imprese americane “andranno in bancarotta”.

Dopo la frase, poco elegante, di Trump sulle richieste di negoziato ricevute da tanti paesi, Bessent aveva detto che gli Stati Uniti erano disposti a trattare con chi avrebbe formato un blocco anti cinese. Infine, con un post sui social network, Trump ha annunciato una sospensione di 90 giorni, che non è una vera sospensione bensì una riduzione al 10 per cento dell’aumento dei dazi previsto, confermando la notizia che era stata smentita due giorni prima. Tutto questo caos i trumpiani lo chiamano “the art of the deal”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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