Per novanta giorni i dazi al 10 per cento ma solo a chi si è mostrato debole. Pechino invece ha scelto un’altra strategia. La guerra commerciale tra le prime due potenze economiche è iniziata. E ora?
L’escalation è iniziata, e da ora si entra in un territorio sconosciuto e imprevedibile fra le prime due economie del mondo. Oggi la Cina ha fatto capire all’Amministrazione di Donald Trump che non intende cedere, e ha risposto ai dazi del 104 per cento applicati sulle sue merci importate in America con altri dazi del 50 per cento: adesso chi compra dall’America in Cina pagherà un’aliquota dell’84 per cento. Come risposta Trump, in un post su Truth ha detto in serata che tutti i paesi che hanno voluto negoziare con lui hanno ottenuto 90 giorni di dazi soltanto al 10 per cento, e invece i dazi contro la Cina, che “ha mostrato mancanza di rispetto nei confronti dei mercati mondiali”, aumentano al 125 per cento.
Nella teoria dei giochi si chiama tit for tat, un botta e risposta sul piano commerciale che però usa lo stesso principio che veniva applicato agli armamenti fra America e blocco sovietico durante la Guerra fredda. La speranza di Trump di un ripensamento da parte cinese, di una telefonata da parte del leader Xi Jinping per cercare di mitigare gli effetti dei “dazi universali”, è stata chiaramente tradita. La sua reazione di questa sera è ancora più bellicosa, punitiva.
“A un certo punto, si spera nel prossimo futuro, la Cina si renderà conto che i giorni in cui fregava gli Stati Uniti e altri paesi non sono più sostenibili o accettabili”.
Ma Pechino non vuole mostrarsi debole, non adesso. E infatti oggi il ministero del Commercio cinese oltre ai dazi, ha annunciato di aver aggiunto dodici società americane, tra cui American Photonics e Novotech, nella blacklist delle esportazioni perché “impegnate in attività contro gli interessi nazionali”. Poi ce ne sono altre sei, tra cui Shield AI, Sierra Nevada, Cyberlux, aggiunte all’elenco delle “società inaffidabili” e a cui saranno vietate le attività di importazione ed esportazione con la Cina e gli investimenti nel paese.
Oggi la propaganda cinese puntava tutto sull’idea che la leadership del Partito non ha nessuna intenzione di farsi intimidire (né di “baciare il culo” a Trump, per usare la sua espressione). Sul social cinese Weibo diversi hashtag che utilizzavano il numero 104 per esempio #dazial104, risultavano censurati, come ha raccontato il New York Times, ed erano incoraggiati, invece, i messaggi ridicolizzanti nei confronti dell’America, che “sta combattendo una guerra commerciale mentre mendica le uova” (copyright dell’emittente statale cinese Cctv). Lingling Wei, corrispondente da Pechino del Wall Street Journal, ha scritto che parte della preparazione cinese a una nuova eventuale guerra commerciale lanciata da Trump nel suo secondo mandato ha riguardato anche lo studio di nuovi strumenti che potessero essere dolorosi per l’America. Per esempio, usare i colossi americani che vivono e prosperano anche grazie ai profondi legami con la Cina, e quindi, per esempio, già solo limitare ulteriormente l’export delle terre rare e dei materiali strategici è un brutto colpo per le aziende americane che fanno Difesa e tecnologia. Aziende che in passato sono già state colpite da intimidazioni e pressioni da parte della leadership cinese – attraverso per esempio l’apertura di procedimenti Antitrust – per cedere proprietà intellettuali o intere divisioni e uffici basati in Cina. Inoltre, Pechino esporta molto in America ma “è il terzo acquirente di beni statunitensi. Soia, aerei e petrolio sono tra le principali esportazioni americane in Cina”. Anche il ministero degli Esteri cinese ci ha messo del suo, emettendo un avviso di viaggio per i cittadini cinesi che viaggiano in America a causa del “deterioramento delle relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti e della situazione della sicurezza interna negli Stati Uniti”.
Oggi a Fox News il segretario del Tesoro di Trump, Scott Bessent, criticava la reazione cinese: “E’ un peccato che i cinesi non vogliano venire a negoziare. Questa escalation saranno loro a perderla”. Il fatto è che i dettagli delle riunioni alla Casa Bianca raccontati dai media americani offrono un ritratto un po’ confuso di chi tiene la linea, chi analizza le informazioni e le conseguenze della guerra commerciale, e poi porta avanti questi colloqui (Witkoff, ancora?). In realtà, parallelamente ai dazi e alla propaganda, oggi il Consiglio di Stato cinese ha pubblicato – l’ennesimo – libro bianco sulle “relazioni commerciali fra Cina e America”, in cui il tono è più conciliante e dove si legge che le differenze dovrebbero essere risolte “attraverso il dialogo e la consultazione” per “incontrarsi a metà strada”. Un ramoscello d’ulivo che però, alla Casa Bianca, Trump non è disposto ad accettare, almeno per ora.