La lezione dei lupi “preistorici” sul significato della ricerca scientifica

Colossal Biosciences ha riportato in vita i primi due metalupi estinti grazie all’ingegneria genetica, riaccendendo il dibattito tra etica, scienza e immaginazione. Un esperimento simbolo del potere della ricerca di spingersi oltre i limiti del presente

Quando nel 1993 uscì “Jurassic Park”, il pubblico si divise tra stupore e panico. Da un lato la meraviglia di un sogno realizzato – i dinosauri vivi! – dall’altro la paura, trasformatasi in proverbio, che la scienza potesse giocare a fare Dio. Oggi, a più di trent’anni di distanza, Colossal Biosciences ha annunciato la nascita di Romolus e Remus, due cuccioli di metalupo, animali estinti da circa 4.000 anni, riportati alla vita grazie all’ingegneria genetica. E il dibattito si ripete, quasi identico: emozione, timore, scetticismo.

Non siamo davanti a un T-Rex, né a una minaccia per l’umanità. Romolus e Remus non hanno denti da film horror né ambizioni predatorie: sono piccoli, sani, monitorati in laboratorio, e rappresentano il primo successo concreto di un progetto che, tra scettici e visionari, va avanti da anni con l’obiettivo dichiarato di “de-estinguere” alcune specie fondamentali per l’equilibrio ecologico. Oltre al metalupo, Colossal mira a riportare in vita il mammut lanoso, il tilacino (o tigre della Tasmania) e il dodo. Sembrano follie? Forse. Ma lo sembrava anche il vaccino a mRNA fino a pochi anni fa.

Il punto è proprio questo. La scienza – quella vera, libera, curiosa – non si muove in linea retta. Procede in diagonale, spesso inciampa, devia, fallisce, si rimette in piedi, esplora strade senza uscita. Eppure, è proprio in quel cammino irregolare che si fanno le scoperte più importanti. Se ci limitassimo a finanziare solo ciò che ha un’utilità immediata, non esisterebbero i laser, il web, la risonanza magnetica, né lo stesso vaccino che ha salvato milioni di vite durante la pandemia. E magari non avremmo nemmeno capito come funziona il Dna. Lo racconta bene l’aneddoto della penicillina: Alexander Fleming non stava cercando un antibiotico. Aveva solo lasciato aperta una finestra del laboratorio. Un fungo contaminò una coltura batterica, e nacque l’antibiotico più famoso della storia. Per anni fu ignorato. Ci vollero una guerra mondiale e la curiosità di altri ricercatori per trasformare quella “muffa” in un farmaco. Lo stesso si può dire del Crispr, la tecnologia di editing genetico che oggi è la base di molti studi su cancro, malattie rare e agricoltura sostenibile. All’inizio, era solo una stranezza nel genoma di certi batteri. Ci sono voluti anni per capire che quei tratti di Dna tagliuzzati erano una forma primitiva di sistema immunitario. E che, con il giusto enzima, si potevano usare come forbici genetiche.

Anche la fisica quantistica, oggi alla base di computer rivoluzionari, nacque da tentativi di spiegare stranezze nella luce di corpi neri. Nessuno all’epoca poteva immaginare che quegli esperimenti esoterici sarebbero diventati il fondamento dei transistor, dei semiconduttori, e dell’elettronica moderna. Tornando a Colossal, è facile liquidare l’impresa come un capriccio di miliardari. Il progetto è finanziato anche da Peter Thiel e altri investitori tech: personaggi spesso ambigui, con sogni distopici in tasca. Ma sarebbe un errore fermarsi a questo. L’ingegneria genetica che ha permesso di far nascere Romolus e Remus ha richiesto nuove tecniche di editing, nuovi approcci alla gestazione artificiale, nuovi strumenti per evitare il rigetto immunitario. Tutto questo – anche se oggi serve solo a “far nascere un lupo estinto” – domani potrà essere utile per curare malattie, salvare specie a rischio, migliorare la comprensione dei cicli evolutivi. Se i metalupi non torneranno mai a popolare le foreste, poco importa. Quel che conta è cosa impariamo nel tentativo.

E poi c’è un altro aspetto, forse meno tecnico, ma non meno importante: la capacità di sognare. La scienza è anche immaginazione. Se togliamo a una civiltà il diritto di sognare l’impossibile, ci condanniamo a un presente eterno, senza slanci, senza speranze, senza scoperte. Nessuno sostiene di riempire gli zoo di animali preistorici. Ma c’è qualcosa di profondamente umano – e positivo – nel voler ricostruire ciò che è andato perduto. Nel caso dei metalupi, per esempio, non si tratta solo di clonare. E’ una forma di “resurrezione ecologica” che implica lo studio approfondito del Dna, la ricostruzione dei genomi tramite tecniche di confronto con specie affini (in questo caso, i lupi grigi), e l’utilizzo di madri surrogate. Un’operazione scientificamente complicata, che potrebbe gettare le basi per salvare oggi altre specie in pericolo, prima che sia troppo tardi. Esiste, certo, una soglia etica da non oltrepassare. Nessuno vuole una giungla piena di chimere o un laboratorio con copie umane. Ma anche qui la scienza ha le sue regole, e sono spesso più rigide di quanto si pensi. La maggior parte dei ricercatori è consapevole dei limiti morali del proprio lavoro. E se serve un dibattito pubblico, è proprio per non lasciare la scienza in mano ai pochi che vogliono usarla per giocare a fare Dio.

Alla fine, Romolus e Remus sono soprattutto un simbolo. Non tanto di ciò che possiamo fare, ma di ciò che possiamo imparare. La scienza non è lineare, non è efficiente, non è economica nel senso stretto. Ma è la cosa più potente che abbiamo per esplorare l’ignoto. Anche quando ci porta a camminare di lato, come i granchi. O a ululare, insieme ai nostri antenati, nella notte della storia.

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