Cara Mediaset, ti scrivo. La lettera che Marina Berlusconi non ha scritto, e non scriverà, al fratello sulle tv di famiglia

La critica alla deriva populista di Mediaset e l’invito per Pier Silvio a un cambiamento culturale, più libero e pluralista. Chiede una TV che informi e pensi, non solo intrattenga

Caro Pier Silvio,


sono tua sorella, ma oggi ti scrivo da cittadina, da donna, da editrice. E da una Berlusconi che ama la libertà più delle caricature, più degli slogan. Non ti preoccupare: non finirà su Verissimo. Non andrò da Barbara a piangere, non lancerò appelli su Instagram. Questa lettera, in realtà, non la leggerai mai. Ma esiste. Come esiste quel nodo allo stomaco che provo ogni volta che accendo una delle “nostre” reti. Eppure ogni sera sempre più lontane da me, da te, da papà.

Perché te lo dico? Perché non ne posso più di vedere Mediaset trasformata in un’eco di rabbia automatica, dove chi urla di più ha sempre ragione, dove la complessità viene derisa, dove l’informazione è un format, e il pensiero un intermezzo pubblicitario. Abbiamo costruito un impero televisivo che ha fatto la storia, questo nessuno ce lo toglierà. Ma adesso sembra un museo delle cere populiste, dove si agitano le stesse facce, le stesse frasi, gli stessi drammi amplificati con lo stesso tono da dieci anni. Dillo pure: è una messa in scena, e in certi momenti nemmeno tanto buona. E qui entra in gioco quella parola che abbiamo ereditato – sì, anche quella – e che oggi più che mai va difesa: libertà. L’ho detto in un’intervista, e l’ho detto con orgoglio: sono allergica al pensiero unico, alle derive autoritarie, al moralismo travestito da identità. Ma ciò che vedo sulle nostre reti non è difesa della libertà: è difesa dell’invettiva. E la cosa più grave è che nessuno ci obbliga a farlo. Siamo liberi. Siamo padroni. Eppure scegliamo ogni giorno di diventare lo sfondo sonoro della peggiore destra d’Europa.

Pier Silvio, lo so che ci credi quando dici che non vuoi censurare nessuno. Ma vedi, la libertà non è solo lasciare parlare. E’ anche scegliere chi ha qualcosa da dire. E’ decidere se vogliamo essere megafono o finestra. Tu ci sei riuscito, anni fa, a cambiare il volto di Mediaset sul piano industriale. Ora tocca al contenuto. Ora serve un altro salto: morale, civile, culturale. E lo devi fare tu, perché sei tu che puoi. Siamo ancora in tempo per tornare a essere un servizio, non un rifugio. Cambiare non è tradire. E’ respirare. E’ dire che il centrodestra può esistere senza essere arruolato nel populismo da discount. E’ ricordare che pluralismo non significa una poltrona per Orsini e una per Giordano.

Sogno una Mediaset che inviti pensatori, filosofi, scrittori, scienziati. Sogno una prima serata dove si possa dire che Trump è un pericolo, che l’Europa è un bene, che la cultura conta. Sogno una rete dove le donne parlano e non vengono solo intervistate. Dove si ascolta, si racconta, si costruisce. Non lo farai, forse. Ma dovevo dirtelo. Perché se non lo faccio io, chi lo fa?

Con affetto, franchezza e un filo di disperazione,


Marina

(Lettera non scritta, non spedita. Ma, forse, pensata. E, magari, domani… riletta)

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