Dazi zero-contro-zero. Ursula von der Leyen tira fuori dal cassetto il mini Ttip per rispondere alla guerra commerciale degli Stati Uniti. Ma la proposta rischia di non andare lontano. Bruxelles divisa tra colombe e falchi. Le resistenze di Washington
Bruxelles. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato di aver proposto all’Amministrazione Trump un accordo “dazi zero” sui prodotti industriali per cercare di mettere fine alla guerra commerciale lanciata dal presidente americano contro l’Unione europea. “Abbiamo offerto dazi zero-contro-zero per i beni industriali”, ha detto von der Leyen: “L’Europa è sempre pronta per un buon affare. Quindi teniamo (l’offerta) sul tavolo”. È una versione ridotta del Ttip, l’accordo di libero scambio transatlantico negoziato tra il 2013 e il 2019, che fu affossato dallo stesso Trump nel suo primo mandato. È soprattutto un modo per continuare a tenere viva la speranza dei negoziati, nel momento in cui la maggior parte degli stati membri guarda con terrore al rischio di un’escalation se l’Ue risponderà con ritorsioni simmetriche ai dazi di Trump.
I ministri del Commercio dell’Ue oggi si sono incontrati a Lussemburgo per cercare di trovare una strategia comune, dopo lo choc provocato dal “Liberation day”. La Commissione si era preparata a rispondere a Trump, ma non su dazi del 20 per cento su tutte le importazioni dall’Ue. Il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha spiegato che il valore dei beni europei presi di mira da Trump ammonta a 370 miliardi. E’ più di tutte le importazioni dagli Stati Uniti. Per una ritorsione occorrerebbe colpire, oltre ai beni americani, anche i servizi. L’Ue ha a disposizione lo strumento anti coercizione che consente di imporre restrizioni sui servizi, compresi quelli digitali e finanziari. Ma nessuno è veramente pronto a utilizzare quella che il ministro degli Esteri irlandese, Simon Harris, ha definito “l’opzione nucleare”.
L’Irlanda, insieme all’Italia, guida il gruppo delle colombe con Trump. Secondo Harris, usare lo strumento anti coercizione sarebbe “un’escalation straordinaria in un momento in cui dovremmo lavorare per la de-escalation”. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha chiesto di “parlare, parlare, parlare” con l’Amministrazione Trump e di “evitare le reazioni scomposte che provocherebbero danni al commercio italiano ed europeo”. Nella riunione a Lussemburgo, Francia e Germania hanno incarnato il ruolo dei falchi, almeno a parole. “È necessario aprire la scatola degli attrezzi europea che è molto completa e che può essere estremamente aggressiva nella risposta”, ha detto il ministro del Commercio francese, Laurent Saint-Martin. Il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, ha chiesto di andare “oltre alle misure doganali” e prendere di mira “i servizi digitali, ma anche un’ampia gamma, molto più di una semplice tassa digitale”. Alla fine è prevalsa la linea del dialogo a oltranza, anche se “non senza fine”, ha specificato il commissario Sefcovic. “Il piano A sono il dialogo e i negoziati”, ha detto Michal Baranowski, il ministro polacco che ha presieduto la riunione del Consiglio Commercio dell’Ue. L’Ue terrà “il piano B, una risposta potenzialmente ferma, in tasca”, ha spiegato Baranowski.
La proposta di von der Leyen di un “mini Ttip” sui prodotti industriali rischia di non andare lontano. Il commissario Sefcovic ha spiegato di avere proposto un accordo su “dazi zero” al segretario al Commercio, Howard Lutnick, nel loro primo incontro il 19 febbraio. Nell’ultimo mese e mezzo l’offerta è stata rifiutata. Gli americani insistono con richieste inaccettabili per l’Ue: cancellare l’Iva, rivedere la regolamentazione ambientale, allentare le norme sanitarie. Sefcovic non è ottimista: “Spero che in futuro potremo tornare a questa discussione. Non ora, ma in futuro”. Secondo Sefcovic, per il dialogo serviranno “sia tempo sia sforzi”, perché “gli Stati Uniti non vedono i dazi come una mossa tattica, ma come una misura correttiva”. L’Ue sta scoprendo che Trump non usa più i dazi per arrivare a un “deal” come nel primo mandato, ma come un mezzo per ridurre il deficit commerciale, aumentare le entrate del bilancio federale per ridurre le tasse e forse rimodellare l’ordine economico internazionale. È uno scenario a cui l’Ue è totalmente impreparata. “A cosa servono i dazi? Come fonte di entrate addizionali? Oppure sono una mossa di apertura per dei negoziati? O servono a cambiare la struttura degli Stati Uniti e dell’economia globale?”, si è chiesto il polacco Baranowski. “Non penso che abbiamo una chiara risposta a questa domanda cruciale. E per arrivare a un accordo dobbiamo avere una risposta a questa domanda”.