Il controprotezionismo burocratico non ci salverà. Trasformiamo il vecchio mercantilismo esportatore in un gigantesco cantiere neoliberista: ci daranno ossigeno la sua apertura ai mercati di tutto il mondo e un colossale 110 per cento
I dazi si mangiano la nostra ricchezza di parassiti esportatori? Rispondiamo con un colossale 110 per cento. Dopo le lamentazioni condite di abbondanti dosi di parmigiano reggiano, che per la verità se la batte con il parmesan del Wisconsin fatto secondo le regole dei nostri avi italoamericani, e dopo le geremiadi ubriache innaffiate da vino che non beve più nessuno e che viene etichettato a Bruxelles come un veleno e addirittura dealcolato mentre il vino californiano buonissimo va alle stelle, visto che le tariffe sono il messaggio apocalittico biblico di quel diavolo arancione o Rubicante pazzo venuto a miracol mostrare, e il clintoniano Nouriel Roubini, un ebreo che sa le lingue e ha studiato parecchio, prevede turbolenze dei mercati e poi conseguenze positive secolari, insomma un’età dell’oro, procediamo alla costruzione di un’Europa e di un’Italia americane. Non mi sembra che ci siano alternative.
Inflazione e decrescita si combattono, pagato il dazio e ridotte le esportazioni e rilocalizzate in America le industrie che possono farlo, e che si sbrighino, costruendo una potente domanda interna in Europa e in Italia, aumentando i salari e i consumi delle famiglie, americanizzando i sindacati e la contrattazione aziendale al posto del collettivismo confederale, liberalizzando tutto, deregolamentando tutto, detassando il possibile, aumentando gli investimenti pubblici a debito in un quadro europeo in cui si rilanciano il diesel tedesco benedetto, la produzione di automobili saettanti e il loro libero uso a scorno di tutte queste inutili biciclette Dei e monopattini e isole pedonali e alcoltest, apriamoci a tutti i mercati non daziari subito e con fiducia, incentiviamo un’economia di guerra e produciamo fior di missili e droni e portaerei, che servono parecchio, e il mercato unico europeo si liberi del sopracciò delle regole e regolette e trasformi il vecchio mercantilismo esportatore sfidato dal Messia americano dell’uomo comune, probabilmente irresistibile, in un gigantesco cantiere neoliberista aperto ai mercati di tutto il mondo, un cantiere neoliberista esempio di competitività estrema, spencolato se necessario verso il famoso sud globale ma aperto alle Big Tech Usa, da detassare integralmente, altro che lacci vendicativi, e poi vediamo chi ci guadagna con l’Intelligenza Artificiale diffusa.
Al protezionismo in un paese solo si può rispondere soltanto dicendo: ora te la diamo noi, l’America. Macron aveva parlato di una start up nation, proceda. Merz è un liberista, una specie di Herr Milei teutonico, proceda. Il welfare si pagherà con il webfare e con la sega elettrica, se necessario. Oppure si può restare come si è, fare le barricate e controbarricate per difendere il privilegio del prosecco, dannare il cittadino Joe e il suo profeta che ci fanno le fiche e le pernacchie perché hanno scoperto una cosa elementare, sono diventati ricchi pagando per tutti ma ora facendo pagare tutti scandalizzeranno Wall Street e l’establishment finanziario mondiale, ma solo per diventare ancora più ricchi. Quanto a noi, il controprotezionismo burocratico non ci salverà, ci daranno ossigeno, e lo dico io che quando sento parlare di catene del valore metto mano alla pistola, quell’apertura totale e quell’immenso debito buono, al 110 per cento appunto, che sono l’unica soluzione. Trump riporta la corsa all’oro alle condizioni di fine Ottocento? E noi apriamo il XXII secolo. O no?