I racconti di Barbara Di Gregorio mettono in luce la totale assenza del maschio, all’interno di realtà fantastiche e con donne lupo sfinite dalla mediocrità lamentosa degli uomini con cui si sono accompagnate fino ad allora
In un tempo di crollo demografico – tutto occidentale – i racconti di Barbara Di Gregorio, Cronache dell’età fertile (Fandango) mostrano non tanto la crisi del maschio e della società che lui ha definito, ma la sua totale assenza. Il maschio non esiste e se esiste non serve a nulla. Le donne di Barbara Di Gregorio sono esseri mutanti e tendenzialmente totalizzanti, capaci di occupare ogni ruolo e ogni forma fino a divenire come nel primo racconto, L’animale maschio, esseri mannari. Donne lupo sfinite dalla mediocrità lamentosa degli uomini con cui si sono accompagnate fino ad allora. Maschi che prefigurano nei loro tratti psicologici una incomprensione del mondo e della sua realtà a cui oppongono però una forma di rabbia lamentosa che li rende ancora più odiosi.
Maschi immobili e incapaci di affrontare ogni imprevisto e che vivono come all’interno di un gioco di ruolo con regole perfettamente ordinate, ma totalmente prive di ogni aderenza con il reale. Uomini che esprimono infine tenerezza e bisogno di accudimento, ma anche un tratto irriducibile di rabbia ottusa che nessuna premura può spegnere o quanto meno limitare.
Morde e ringhia la donna lupo, mentre non vede l’ora di essere liberata, lasciata ad uno stato brado la cui condizione principale è quella di libertà, mentre il suo maschio ancora così umano vive imprigionato in una condizione da perenne ottundimento da xanax. Fare figli con uomini così, o trovare uomini per far figli assume la forma di una caccia che però non include nessuna possibilità di salvezza. I figli sono una necessità atavica, quasi un obbligo, ma segnato da un dolore difficile da ridurre che comprende l’assenza di un maschio possibile e capace di comprendere quella necessità e quel desiderio.
Le donne di Barbara Di Gregorio vivono all’interno di realtà fantastiche e fortemente immaginifiche che evidenziano l’assurdità di una condizione di perenne ritardo e respingimento a cui sono costrette quotidianamente.
Un ruolo sempre di potenziale quando non di palese sottomissione all’interno di una gerarchia sociale le cui condizioni appaiono sempre più assurde e violente. La realtà non è quella che ci circonda e che spesso ci opprime, ma un luogo che appartiene a un ambito più profondo e che le donne di Di Gregorio sentono la necessità d’indagare. Un posto dentro al quale solo un forte desiderio può illuminare e fare luce dando così finalmente una forma reale alle cose e alle persone. Ed è così l’assenza di desiderio prima ancora che l’onnipresente incomunicabilità tra donna e uomo, a dare il segno di una crisi che consegna la donna solo ad un obbligata salvezza e l’uomo ad un’inconsapevole per quanto tragica scomparsa.
Cronache dell’età fertile è una raccolta ironica la cui qualità letteraria spicca in una costruzione narrativa felice e divertita, un’ironia vergata da non poco disincanto e che in parte ricorda la poetica irriverente di Noémie Merlant e del suo ultimo, film Le donne al balcone. Un’ironia che gioca nella tragedia senza ometterne la violenza e il dolore, ma rivelando una capacità di sguardo ulteriore che non si limita a una diatriba all’interno della relazione donna uomo, ma che porta la donna a dialogare direttamente con il mondo. Un dialogo che passa dal desiderio per i figli e per un futuro che non esista solo nelle illazioni e nelle possibilità immaginate o pensate, ma in una realtà concreta e da costruire giorno per giorno. Una necessità che porta a un rapporto diretto con lo spazio naturale. Una relazione godibile e giocosa oltre che rivelatrice di una libertà che non sta nello sguardo dell’uomo che si pone di volta in volta davanti agli occhi occupando ogni possibile orizzonte.