L’ex sindaco di Verona, forzista, critica il Carroccio: “Sfascisti a Bruxelles, obbedienti a Roma. Conta solo il Ppe”. E sul Veneto sfida Zaia: “La Lega non deciderà più da sola”
Venezia. Questione di stile, dice Flavio Tosi. “Ognuno c’ha il suo. Noi abbiamo il nostro: garbato e vincente. Ma se Salvini ritiene di avere questo atteggiamento verso Tajani e Forza Italia, ne prendiamo atto”. A fare il bersaglio mobile anche no. “È naturale che la Lega rivendichi il suo ruolo e cerchi più spazio”, dichiara al Foglio il responsabile dei forzisti in Veneto. “Gli amici del Carroccio vanno capiti: versano in una dicotomia di pensiero complicata da conciliare. Sfascisti in Europa, obbedienti in Italia. Ne soffrono, dunque diventano aggressivi. Anche contro di noi”. È quasi un’analisi clinica: dottor Tosi, paziente Matteo. “Alla fine contano i fatti. La Lega, a Roma, vota tutto quel che il governo Meloni propone: pure la difesa unica europea. Mentre a Bruxelles non tocca palla. C’è un recinto sanitario nei confronti degli estremismi. Patrioti compresi”.
Messaggio chiaro da nordest. “Siamo sereni. Non è il caso di cadere nelle provocazioni. Per quanto riguarda gli affari esteri, la linea la dettano Giorgia e i ministri di competenza: Tajani, Crosetto. Non certo quello delle Infrastrutture”. Non ti curar di lui… “Salvini fu uno stratega brillante all’epoca della Lega al 4 per cento, ma ormai il trend è l’opposto. A furia di inseguire il consenso a tutti i costi, si finisce per perderlo. Diffidare dai grandi sbalzi, in politica. Anche per questo la crescita del nostro partito, invece, poggia su basi solide: è lenta ma costante. In Veneto più che altrove”. Sguardo sulle regionali. “Il centrodestra correrà unito. E la decisione definitiva sul candidato la prenderanno i tre leader a Roma. Com’è sempre stato e sempre sarà”.
L’ex sindaco di Verona ha già fatto incetta di amministratori leghisti. Sa di non avere le carte in tavola per rovesciare gli equilibri. Ma ne ha abbastanza per influenzarli. “La regione passerà presto dalla monarchia alla democrazia”, la sfida al Doge. “Comunque vada alle urne, i rapporti di forza cambieranno. E la Lega non potrà più decidere in solitaria”. A Tosi lo scranno di Zaia fa gola, non è un mistero. “Usciamo da una legislatura senza assessorati per Forza Italia. Totale anomalia decisa da Zaia: quando il partito forte era quello di Berlusconi, concedeva le deleghe a tutti i rappresentanti della coalizione. Si amministrava insieme. Sapete invece quante volte Zaia ha riunito me, De Carlo e Stefani, i tre segretari di maggioranza?”. Ci immaginiamo la risposta. “Zero”.
E così, mentre Salvini e accoliti alzano la voce per tutto il paese – lo scorso weekend a Padova, il prossimo a Firenze per il congresso – Forza Italia adotta la strategia dell’imperturbabilità. “I problemi che crea la Lega sono soprattutto interni alla Lega”, glissa Tosi. “Poi l’elettore, di questi tempi, è più attento alle incoerenze. Questa situazione andrà tutta a nostro vantaggio”. Da eurodeputato, lui vede con mano l’unica cosa che conta: il Carroccio, alla fine, non conta affatto. “In Italia le deleghe le abbiamo noi e FdI: i salviniani masticano amaro, ma votazioni alla mano hanno un atteggiamento saggiamente europeista. In Europa invece esiste una netta differenza tra maggioranza e minoranza. Tra chi governa e chi rompe le scatole”. Vannacci stacce. “Ben inteso: coi leghisti l’atmosfera è tranquilla, ci si parla da colleghi. Ma rispetto alle decisioni, che ruotano attorno al Ppe, sono totalmente tenuti fuori. Al contrario, con Ecr, l’eurogruppo di Meloni, abbiamo un dialogo molto positivo”.
Ma da ex leghista, cosa ne pensa Tosi? “Che questa non è più la Lega di Tosi. Una volta mi davano perfino dell’eretico, per le mie idee federaliste: Salvini era un secessionista convinto”. Memoria corta. “Oggi sono passati da un estremo all’altro. Mentre il federalismo sopravvive in Forza Italia”. Eppure Tajani, sull’autonomia… “Anche qui, contano i fatti. Noi l’abbiamo sempre sostenuta nelle sedi opportune. Se non è ancora una realtà, la colpa è del ritardo accumulato durante i governi Conte: mica c’eravamo, noi. Ma questo Zaia non lo dice”. Salvini, figurarsi.