Crollo dell’inflazione e ripresa dell’economia. Così il piano di stabilizzazione di Javier Milei ha ridotto la quota di poveri al 38%, al di sotto del 41,7% lasciato in eredità un anno fa dal governo peronista e del picco del 52,9%
Decine di editoriali e analisi socio-politiche sulla “macelleria sociale” del governo di Javier Milei e sull’esplosione della povertà in Argentina sono ormai da buttare. I dati dell’Indec, l’istituto nazionale di statistica, mostrano che nel paese sudamericano la povertà è crollata. Non solo rispetto al picco del primo trimestre, quando il neo presidente libertario ha nei primi mesi di governo attuato il fortissimo aggiustamento fiscale per domare l’inflazione, ma anche rispetto al livello di dicembre 2023, lasciato dal precedente governo della sinistra populista.
Secondo le misurazioni semestrali dell’Indec, a fine 2024 la povertà è scesa al 38,1%: era al 52,9% nel primo semestre del 2024 e al 41,7% nel secondo semestre 2023. Vuol dire circa -7 milioni di poveri rispetto a metà 2024 e -1,5 milioni rispetto a fine 2023. Sebbene possa apparire un dato sorprendente, non era affatto inatteso. Come scritto sul Foglio del 20 dicembre, le proiezioni di tutti gli esperti indipendenti di povertà coincidevano nell’indicare un sostanziale diminuzione dell’indice nella seconda metà dell’anno (ma in realtà già a partire dal secondo trimestre).
L’evoluzione della povertà durante il primo anno di governo Milei segue la forma di una “V” capovolta: un andamento analogo a quello dell’inflazione e opposto a quello del pil. Non è un caso. Sono i due fattori che spiegano un’inversione così repentina. Milei ha attuato un piano shock per far fronte a una situazione disastrosa: economia in recessione, sull’orlo dell’iperinflazione, Banca centrale con riserve nette negative, enormi scadenze debitorie, piano con il Fmi non rispettato e nessun accesso ai mercati. Il governo ha raggiunto il pareggio di bilancio già nel primo mese di governo attraverso un taglio del 30% della spesa pubblica, con l’obiettivo di bloccare l’emissione monetaria e il principale motore dell’instabilità e della povertà: l’inflazione. I risultati sono arrivati. L’inflazione mensile è passata, in un anno, dal 25,5% al 2,7 %. L’altro dato rilevante riguarda il mercato del lavoro. A fine 2024 (nonostante il taglio di 37 mila dipendenti pubblici), gli occupati sono 78 mila in più rispetto al 2023. Disinflazione senza disoccupazione: un caso raro.
Il pil nel 2024 è diminuito dell’1,7% ma, al contrario di quanto possa sembrare, è un dato positivo. In primo luogo perché l’Argentina era già in recessione nel 2023 e il pil del 2024 si portava dietro un trascinamento di -1,5% del pil. Pertanto il -1,7% del 2024 è risultato migliore di ogni aspettativa: il Fmi stimava -3,5%, il governo argentino -3,8%. Dopo l’aggiustamento fiscale monstre di 5 punti di pil, e un risanamento dei fondamentali dell’economia, l’attività economica ha avuto una forte crescita che è molto più di un rimbalzo. Secondo gli ultimi dati dell’Indec, il pil a gennaio 2025 è cresciuto del 6,5% rispetto all’anno precedente e dello 0,6% rispetto al mese precedente. Secondo le stime di Ocse e Fmi il 2025 terminerà con una crescita del 5,5% o 5,7%.
L’andamento a “V” capovolta della povertà è quindi il prodotto combinato di un andamento analogo della curva dell’inflazione (il principale driver della povertà e la ragione del trionfo elettorale di Milei) e di uno opposto (a “V” non capovolta) dell’attività economica. A questi fattori, che sono l’effetto del piano di stabilizzazione fiscale e macroeconomica, si aggiungono alcune scelte nelle politiche sociali: Milei e il ministro dell’Economia Luis Caputo hanno usato la motosega sulla spesa pubblica, tagliando tutti i capitoli di spesa sociale contro la povertà che veniva distribuita e intermediata da vari attori politico-sociali, come sindacati, cooperative e altre organizzazioni sociali. Tutti questi programmi, inefficienti e fonti di corruzione, sono stati chiusi. Al contrario, il governo ha incrementato le misure che trasferiscono direttamente le risorse nelle tasche delle famiglie, come il sussidio alimentare e l’assegno per i figli
Pareggio di bilancio, riduzione dell’inflazione, crescita economica, tenuta dell’occupazione e riduzione della povertà. Tutti questi risultati erano impensabili solo un anno fa e spiegano come mai i consensi di Milei siano ancora molto elevati, nonostante una terapia così dura. Ma ciò non vuol dire che l’Argentina sia fuori dalla crisi. In primo luogo perché nel quadro di incertezza economica mondiale, paradossalmente scatenata dall’alleato di Milei Donald Trump, un paese fragile come l’Argentina può andare gambe all’aria. In secondo luogo, perché il piano di stabilizzazione non è completo. Mancano ancora due tasselli collegati: il tasso di cambio e i controlli sui movimenti di capitale.
In questi giorni Buenos Aires sta trattando un nuovo accordo con il Fmi che, secondo l’annuncio del ministro Caputo, sarà di 20 miliardi di dollari. Il nuovo programma, dopo il fallimento dei due precedenti, parte da basi diverse: il paese è in avanzo fiscale e le risorse del Fondo non servono per sostenere la spesa in deficit, ma per rafforzare le riserve della Banca centrale (ancora negative) ed eliminare le restrizioni ai movimenti di capitale.
Tuttavia le parti hanno visioni e incentivi differenti, che sono in parte confliggenti: il governo sta sostenendo artificialmente la sua valuta (il peso) per contenere l’inflazione e vincere le prossime elezioni legislative, ma il Fmi non vuole che i suoi dollari vengano bruciati (di nuovo) per ragioni politiche e preferisce un cambio più flessibile e realistico, anche se ciò dovesse comportare una svalutazione e una ripresa dell’inflazione. Le prossime settimane saranno decisive.