Con Trump nessuno è al sicuro, nemmeno i fedelissimi. La strategia ungherese
“Je suis Marine”, ha scritto Viktor Orbán su X commentando la sentenza di ineleggibilità della leader sovranista francese, Marine Le Pen, velocissimo. Il premier ungherese vuole farsi vedere reattivo, non solo di fronte ai suoi alleati europei ma soprattutto di fronte a Donald Trump. A Budapest c’è una certa preoccupazione nei confronti della nuova Amministrazione, perché è vero che l’allineamento ideologico è perfetto, ma è anche vero che per un’America che guarda al proprio tornaconto, l’Ungheria di fatto ha poco da offrire.
Orbán ha puntato tutto sull’appartenenza ideologica, anzi, sul suo essere un precursore persino del trumpismo. Ha pagato molto questa sua strategia, che non riguarda soltanto il buon rapporto personale con il presidente americano: ci sono ottime relazioni tra i centri studi dell’orbanismo e del trumpismo; Tucker Carlson, il giornalista devoto, è di casa a Budapest; la prima volta che si sentì parlare del Trump “pacifista”, inteso come quello che metterà fine alla guerra della Russia contro l’Ucraina a qualsiasi condizione, fu nel gennaio del 2024, quando Orbán andò in visita a Mar-a-Lago e, tornando a casa, disse che erano d’accordo sul fatto che la pace si sarebbe raggiunta non dando più nemmeno “un penny” agli ucraini. Il premier ungherese condivide con Trump un progetto rilevantissimo, che è quello di disunire l’Unione europea, e porta in dote agli americani il suo potere di veto dentro a un consesso che decide all’unanimità. E’ un tesoretto non indifferente, ma Orbán sa che potrebbe non essere abbastanza. Per di più, per la prima volta da quando è ininterrottamente al potere (15 anni), il premier ha un rivale credibile – Péter Magyar – e proteste sempre più insistenti: delle seconde gli è sempre importato poco, ma il partito di Magyar, Tisza (è una crasi tra due termini che significano rispetto e libertà), più in alto del suo Fidesz nei sondaggi è una storia inedita che potrebbe aggravarsi se, come va dicendo Magyar, furbissimo nel farsi intervistare dai media internazionali, le elezioni potrebbero essere anticipate (Magyar documenta sui social anche le intimidazioni degli orbaniani agli esponenti di Tisza).
Per di più negli ultimi vertici europei, l’Ue ha preso decisioni a 26. E’ una strategia di corto respiro, perché ci sono decisioni strutturali che devono essere prese all’unanimità (come il rinnovo delle sanzioni europee alla Russia: la prossima scadenza è il 31 luglio e si sa che Vladimir Putin ha già messo tra le sue condizioni a Trump proprio il sollevamento di alcune sanzioni europee, in particolare sui fertilizzanti), ma l’assenza del cosiddetto “dramma ungherese” negli ultimi incontri europei è stato notato anche in America: forse Orbán non è così influente come dice lui? Il governo entrante in Germania poi, secondo Politico, vuole introdurre misure più restrittive di congelamento dei fondi europei per i paesi che non rispettano i valori comuni.
Per questo il premier ungherese ha messo sul piatto della sua fedeltà un questionario sull’Ucraina e in particolare sull’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, un’altra decisione che va presa all’unanimità. La consultazione popolare inizierà a metà aprile e gli ungheresi dovranno restituire i loro “voti” entro il 20 giugno, ma con tutta probabilità si tratterà – come era già avvenuto nel 2023 – di un sondaggio postale non vincolante. Quel che è importante per il governo ungherese però è dettagliare le argomentazioni contrarie all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue mentre la Commissione europea s’è convinta che Kyiv ha fatto progressi su due capitoli negoziali e la Polonia, che ha la presidenza di turno del semestre europeo, è pronta a convocare la riunione intergovernativa che dà il via alla discussione. I rischi per l’Ungheria dell’adesione dell’Ucraina sono, secondo il governo, sette: un rischio finanziario, per cui tutti i fondi andranno a Kyiv generando un debito comune che deve pagare anche Budapest; un rischio agricolo, che impatterà sui sussidi agli agricoltori ungheresi; un rischio di sicurezza alimentare perché gli ucraini usano elementi chimici e modificazioni che rovinano la qualità dei prodotti agricoli; un rischio di sicurezza perché l’Ucraina era un hub della criminalità e oggi ha molte armi che possono finire nelle mani sbagliate; un rischio per il mercato del lavoro, perché il costo del lavoro ucraino è basso e potrebbe abbassare i salari e mettere a rischio le pensioni; un rischio sanitario, perché in Ucraina non ci sono vaccini obbligatori; un rischio pensionistico, sulla tredicesima degli ungheresi.
L’allarmismo di Orbán non è una novità, così come non lo è la sua ostilità all’Ucraina, ma il premier ungherese ha anche bisogno di mostrare all’America di Trump di essere un alleato indispensabile. In un servizio un po’ spericolato, la Deutsche Welle mette in fila i possibili dissapori tra Budapest e Washington (in particolare nei rapporti con la Cina), ma un ex consigliere di Trump, Ken Weinstein, dice una cosa importante: “L’utilità di Orbán è limitata”. Che poi è il problema di tutti, con il presidente americano: nessuno è al sicuro, nemmeno i più fedeli.