A febbraio 2025 aumentano gli occupati, diminuiscono i disoccupati, cresce il lavoro femminile. I numeri Istat disegnano un andamento positivo, ma fanno emergere anche le difficoltà sistemiche del nostro mercato del lavoro. L’analisi di Francesco Seghezzi (Adapt)
I dati sull’occupazione in Italia continuano a registrare un andamento positivo. Istat ha pubblicato oggi quelli relativi al mese di febbraio: con 47mila occupati in più, (+0,2 per cento), il tasso di occupazione sale al 63 per cento e la disoccupazione diminuisce (5,9 per cento). Sale, invece, l’inattività – cioè il numero di persone non occupate, ma neanche in cerca di occupazione – che è da sempre alta nel nostro paese e che anche nel mese di febbraio è cresciuta, toccando il 32,9 per cento.
La crescita occupazionale è trainata, in maniera quasi totalizzante, dalle persone over 50, che sono circa il 96 per cento degli occupati in più. C’entra il fattore demografico, e dunque l’invecchiamento della popolazione italiana, ma soprattutto l’innalzamento dell’età pensionabile. Francesco Seghezzi, presidente dell’associazione Adapt, individua in quest’aumento soprattutto un effetto della legge Fornero, con la quale è stato introdotto il meccanismo che lega il pensionamento per vecchiaia all’aumento della speranza di vita. “E’ difficile immaginare che un 62enne trovi una nuova occupazione, la maggior parte delle persone restano nel mercato per più tempo. Penso che se non avessimo avuto la riforma, ci scorderemmo questi numeri”. Il fenomeno è, di fatto, inarrestabile. Nuovi dati Istat sugli indicatori demografici del 2024 segnalano un aumento molto rilevante dell’aspettativa di vita a 65 anni, che ora è arrivata a 21,2 anni. Dovrebbe conseguirne un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile nel 2027 di tre mesi – 67 anni e tre mesi, oppure 43 anni di attività e un mese per la pensione anticipata. Un provvedimento evidentemente impopolare, che infatti già alcuni esponenti del governo hanno dichiarato di voler bloccare: il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, quota Lega, ha detto che l’aumento previsto tra due anni sarà “sterilizzato”.
Il fatto che lavorino persone sempre più anziane non può che avere un impatto anche sulle dinamiche produttive. “L’aumento dell’età pensionabile è una necessità, ma non è un gioco contabile. Abbiamo una struttura produttiva che contempla molto poco la presenza di persone over 60. Li considera dei pesi che non sa come gestire, li manderebbe tutti in pensione se non costasse tanto farlo. A mio avviso si tratta della sfida organizzativa e culturale più importante che ha l’Italia, come immaginare una sostenibilità del lavoro con la presenza degli over 60”. Seghezzi segnala il bisogno di una riorganizzazione degli apparati produttivi, che riguardi la scelta dei ruoli e magari una rimodulazione dell’orario di lavoro per le persone di età avanzata. Scelte e responsabilità che competono in primis alle aziende, e che secondo il presidente di Adapt dovrebbero beneficiare del supporto di contributi pubblici.
I dati Istat gettano luce anche sulle condizioni del lavoro femminile e giovanile. Un dato che potrebbe stupire, ma che si inserisce in una tendenza che si può ormai considerare strutturale, è che la crescita occupazionale registrata a febbraio 2025 riguarda le donne, e non gli uomini. “Se si guarda al dato annuale, cioè da febbraio 2024 a febbraio 2025, l’occupazione femminile è cresciuta quasi del doppio rispetto a quella maschile. Ci troviamo in un momento storico in cui le donne crescono sul piano lavorativo. E’ anche vero che non appena ci sono momenti di crisi di mercato, vengono pagati soprattutto dalle donne. Sono da considerare anche delle differenze di natura territoriale, dal momento che nel nord il lavoro femminile cresce molto più che al centro sud. Complessivamente però l’andamento è positivo”, spiega Seghezzi. Nonostante questo, le donne continuano a trainare anche il tasso di inattività (+0,1 per cento a febbraio). “L’inattività femminile, soprattutto nel Mezzogiorno, ma anche in alcune province del nord Italia, è legata a un tema culturale, nonché a un’assenza di servizi”. Ma l’inattività riguarda anche e soprattutto le fasce giovanili, ed è legata sia alle condizioni economiche di alcune zone d’Italia sia all’inadeguatezza delle competenze e dei profili rispetto alle richieste del mercato del lavoro. Un elemento tristemente in crescita riguarda poi le fragilità psicologiche dei ragazzi e delle ragazze, che incide molto sull’aumento dell’inattività giovanile. “L’inclusione dei giovani nel mercato del lavoro può essere senz’altro favorita attraverso un maggiore dialogo tra la formazione scolastica e il mondo del lavoro, con l’attivazione di strumenti di alternanza e apprendistato. Sul disagio psicologico è difficile immaginare interventi che abbiano una dimensione nazionale. Occorre intervenire in maniera sartoriale sui territori, con un sostegno mirato alle famiglie.” La fascia d’età 25-34 anni, tra l’altro, è l’unica a non essere interessata dall’incremento che emerge dai dati Istat.