Dopo anni di lavoro per liberarsi da ingombranti tormentoni, il regista e comico abruzzese punta su un racconto autobiografico con velature drammatiche: escamotage paraculo e necessario per spianare la strada a suoi prodotti più maturi
Che Maccio Capatonda si volesse liberare delle sue storiche maschere lo sapevamo già. Tutti i suoi ultimi lavori, a partire dal 2017, hanno sempre puntato su altro, senza però mai ripagare lo sforzo. Tra 2022 e 2023 ha addirittura avviato una campagna per promuovere action figure da 60 euro di Padre Maronno & Co: nei video di lancio parlava direttamente agli stessi personaggi, spiegando loro quanto ormai fossero diventati delle zavorre.
In “Sconfort Zone” il messaggio è ancora più chiaro. Un enorme blocco dello scrittore porta il regista abruzzese ad affidarsi a un luminare della psichiatria alternativa (l’ottimo Giorgio Montanini), accettando di sottoporsi alle prove da lui richieste. Una peggiore dell’altra, pur di ritrovare l’ispirazione perduta e consegnare il soggetto promesso alla grande multinazionale (leggasi Amazon Prime), ma soprattutto scollarsi di dosso un passato di tormentoni e battute, tanto glorioso quanto ingombrante.
Maccio fronteggia tutte le sue paure, dal fallimento economico a quello affettivo, fino a sfiorare i paletti più essenziali della legge. Inconsapevole di essere finito in un inghippo più grosso di lui, ripercorre a ritroso tutte le tappe della sua vita, ritornando mentalmente (oltre che fisicamente) laddove la sua storia è cominciata: Chieti, in Abruzzo.

Chi scandaglia da anni interviste e libri su Maccio, pseudonimo di Marcello Macchia, conosce già quasi tutto: l’accesa passione sin dalla tenera età per Ritorno al futuro e per Ilaria Glassi, una delle ragazze di Non è la Rai (il cui volto riveste due pareti intere della sua vecchia cameretta), ma anche i continui litigi fra i suoi genitori. Il racconto autobiografico incardina una dramedy curiosa e a tratti profonda, ma tutto sommato paracula. Tanto da poterci ben immaginare Capatonda che si scortica il capo per trovare un’idea e scongiurare salatissime penali con l’editore. Finché, giunto all’apice dello sconforto, non arriva il lampo: scrivere una serie incentrata sulla difficoltà di scrivere una serie.
Paraculo si, ma l’effetto è gustoso. La storia regge ed è scritta come si deve, nel rispetto di quel teorema che cicatrizza ogni buco di trama: un dettaglio A si ripresenta in una scena B, producendo un effetto C.
Nel complesso, è forse il lavoro che più di tutti riesce a fargli fare quel salto necessario per mostrare al grande pubblico un lato inedito di sé. Non c’era riuscito con “Il migliore dei mondi”, film del 2023 (sempre di casa Bezos) in cui esagerate ambizioni fantascientifiche e drammatiche si sono scontrate con una resa finale decisamente insufficiente. Forse ce l’ha fatta con “Sconfort Zone”, in cui, partendo solo da se stesso, ha realizzato quel prodotto “ponte” capace di condurre sia lui che i suoi fan più affezionati verso un nuovo genere di contenuti. Sempre comici, ma più maturi e finalmente slegati dalle solite quattro celebri frasi.
Tuttavia, se questa serie è un cuscinetto che ammortizza l’urto di un nuova pagina di carriera, per superare il fantasma di “Mariottide” e non essere più riconosciuto semplicemente come “quello dei trailer”, Maccio dovrà compiere una sforzo in più, sia sulla scrittura sia sulla regia. Nulla che un anno sabbatico non possa potenziare.