Dove nasce la diffidenza degli ucraini verso gli americani e viceversa

Il formidabile reportage di Adam Entous per il New York Times rivela dettagli istruttivi sui dissensi interni alle autorità ucraine e quelli fra gli ucraini e gli americani. Fra la scelta di resistenza di un popolo e la decisione di sostenerla “a condizione” con un guinzaglio modulabile, si è giocata una rischiosa partita

Il servizio firmato da Adam Entous per il New York Times, “La storia segreta del coinvolgimento americano nella guerra ucraina”, è formidabile. Non tanto per le rivelazioni quanto per il racconto. Entous, e la sua ampia cerchia di collaboratrici e collaboratori, riferisce di aver raccolto più di 300 interviste con esponenti politici e militari di nove paesi, nell’arco di più di un anno. E’ evidente dal testo che la sua fonte decisiva è un generale ucraino, Mykhaylo Zabrodskyi, 51 anni, che ha avuto una parte essenziale nel rapporto coi responsabili militari Usa, e un’attenzione straordinaria ai rapporti psicologici fra gli attori principali delle due parti. In Italia, il suo nome fu accostato all’ordine di aprire il fuoco di mortai che il 24 maggio 2014, vicino a Slovjansk, nel Donetsk, uccise il fotoreporter italiano Andy Rocchelli e il giornalista e militante di Memorial Andrej Mironov. Dopo l’assoluzione definitiva, in Italia, dell’unico imputato, il militare ucraino Vitaly Markiv, due nostri giornalisti, Andrea Sceresini e Giuseppe Borello, hanno realizzato nel 2022 un documentario televisivo, per RaiNews24, “La disciplina del silenzio”, intervistando anche Zabrodskyi, allora deputato per il partito di Poroshenko. Riassumono gli autori: “Zabrodskyi, pur respingendo ogni addebito, ha dichiarato di non poter smentire né le ricostruzioni certificate dalla giustizia italiana (che ha stabilito che i colpi mortali furono esplosi dalla collina) né le parole dei nostri testimoni. Ha ammesso, inoltre, che tutte le forze presenti a Karachun – compresi gli uomini della Guardia Nazionale – erano sotto il suo comando”.



L’inchiesta di domenica del Nyt riserva dettagli vivaci e istruttivi sulle rivalità e i dissensi fra le autorità ucraine, a partire dalle più note, fra Zelensky e il generale Zaluzhny, e fra Zaluzhny e il suo vecchio capo, poi suo successore, il generale Syrsky. Altrettanto forti e incidenti i dissensi e le diffidenze fra gli ucraini e gli americani, al punto da far attribuire a un ritardo di un comandante ucraino delle operazioni, deliberato e quasi dispettoso, il fallimento della seconda controffensiva. Il punto più importante del racconto, se non il più umanamente interessante, sta nella ricostruzione delle “linee rosse” via via imposte e rimosse alla libertà d’azione ucraina, col limite insieme insuperabile e però azzardatamente saggiato di sventare reazioni “disperate” o estreme delle forze russe – il ricorso all’arma nucleare, divenuto probabile “fino al 50 per cento”. C’è gran materia per ripercorrere il passato, ricordandosi che la guerra è ancora in corso. E anche che a guerra in corso una simile ricostruzione della sua conduzione sembra incompatibile con i precetti del segreto militare, e si mostra certo impensabile quanto al racconto dell’altra parte.



C’è intanto un punto cruciale per il confronto delle opinioni e delle superstizioni sulla responsabilità della guerra, per i molti cui è piaciuto esentarne la Russia, e anzi indicare nell’invasione del febbraio 2022 il coronamento del sogno degli Usa, della Nato e dell’occidente. Il punto è la definizione della “proxy war”, la guerra condotta dall’Ucraina “per procura”. Gli ucraini si sono battuti, sono stati uccisi, mutilati, espiantati, impoveriti, spaventati, per conto terzi – della Nato, degli Usa, dell’occidente. Chi abbia seguito la guerra dal 24 febbraio del 2022, e prima dal 2014 del secessionismo fomentato nel Donbas e dell’annessione della Crimea, senza altro pregiudizio che la solidarietà con la passione per la libertà della gran parte di un popolo cui era stata costantemente e ferocemente negata, non ha dubitato della doppia partita. Fra la decisione a resistere di Zelensky e dei suoi, e la decisione a sostenerne la resistenza “a condizione”, con un guinzaglio allungabile e accorciabile, si è giocata una partita rischiosa, in cui ciascuna delle parti, quella sul campo e quelle nella riparata retrovia dei rifornimenti di armi di addestramento e di intelligence, ha operato “per procura” dell’altra. L’autore dell’inchiesta, Entous, citando un proprio altrettanto ampio reportage sulla Cia e l’intelligence ucraina del febbraio 2024 (con Michael Schwirtz) risponde così al primo di qualche migliaio di commenti sul giornale: “Una delle cose che ho imparato, sulla storia della relazione tra la Cia e le sue controparti ucraine, è stata la misura in cui gli ucraini hanno trascinato le loro controparti americane nel loro conflitto con la Russia. La Cia era inizialmente riluttante ad aiutare gli ucraini nella loro lotta”.



Dopo i primi giorni della guerra, e della incredibile resistenza ucraina all’aeroporto di Kyiv, avevo espresso una convinzione che mi ha guidato lungo i tre anni, e mi auguravo che rimanesse la convinzione dei responsabili ucraini: “L’Ucraina, non perdendo, vince. La Russia, non vincendo, perde”. Il servizio di Entous si apre con questo riassunto: “A volte gli ucraini vedevano gli americani come prepotenti e autoritari, i prototipi degli americani paternalistici. A volte gli americani non riuscivano a capire perché gli ucraini non accettassero semplicemente i buoni consigli. Laddove gli americani si concentravano su obiettivi misurati e raggiungibili, vedevano gli ucraini come persone costantemente alla ricerca della grande vittoria, del premio luminoso e splendido. Gli ucraini, da parte loro, spesso vedevano gli americani come persone che miravano a frenarli. Gli ucraini miravano senz’altro a vincere la guerra. Anche se condividevano quella speranza, gli americani volevano assicurarsi che gli ucraini non la perdessero. Man mano che gli ucraini conquistavano una maggiore autonomia nella partnership, tenevano sempre più segrete le loro intenzioni. Erano perennemente arrabbiati perché gli americani non potevano, o non volevano, dare loro tutte le armi e le altre attrezzature che desideravano. Gli americani, a loro volta, erano arrabbiati per quelle che vedevano come richieste irragionevoli degli ucraini e per la loro riluttanza a decidere misure politicamente costose per rafforzare le loro forze ampiamente inferiori di numero /il reclutamento dai 18 anni…/”.



Soprattutto, gli uni e gli altri non hanno fatto i conti col tempo. Il tempo portava malignamente in grembo Donald Trump, ed è là che ora siamo tutti.


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