L’identità internazionale dell’élite degli scacchi

Il numero cinque al mondo Fabiano Caruana viene accusato di non essere mai stato un “vero italiano”. Ma forse negli scacchi si farebbe meglio a coltivare l’utopia di una nazione a sé stante, con un piccolissimo territorio di sessantaquattro caselle

European Individual Chess Championship 2025: da un podio di otto punti e mezzo su undici, condivisi tra i primi tre, la spunta il tedesco Matthias Bluebaum, che vince per spareggio tecnico. Ma un altro sorpasso di misura si è consumato in questo torneo, forse di minore impatto immediato, ma sicuramente rilevante per gli scacchi italiani. Daniele Vocaturo, primo nel ranking nazionale da circa nove anni, è stato sorpassato di appena un punto elo dal giovanissimo (classe 2002) Francesco Sonis. Vocaturo è stato il terzo giocatore nato e cresciuto in Italia ad aver conseguito il titolo di Grande Maestro, prima di lui ci erano riusciti solo due pietre miliari dello scacchismo italiano: Michele Godena nel 1996 e, primo in assoluto, Sergio Mariotti nel 1974. Sono esclusi da questa lista Mario Silla Monticelli ed Enrico Paoli, che hanno ottenuto il titolo honoris causa, e Fabiano Caruana, l’italo-statunitense, attualmente numero cinque al mondo.

Caruana ha giocato per la federazione italiana per dieci anni, prima di passare a quella statunitense nel 2015, anche grazie alla forte spinta dal magnate Rex Sinquefield, e con il beneplacito della federazione italiana, che aveva compreso che sarebbe stato impossibile trattenere un giocatore di tale caratura. Ma principalmente ha inciso l’identità nazionale e il desiderio di giocare rappresentando e difendendo i propri colori. Nato a Miami da genitori italiani, Caruana si trasferisce nella Brooklyn di Fischer (battendone il record d’età al conseguimento della categoria di GM). Di italiano ne parla molto poco, interesse per vivere in Italia ne ha e ne ha avuto ancora meno. Qualcuno lo accusò, al momento del passaggio, di aver pugnalato il bel paese come Bruto, e di averlo sfruttato per chissà quale contrattazione con la federazione americana, e anche, di conseguenza, di non essere mai stato un “vero italiano” (benché anche con la recente riforma sullo ius sanguinis la cittadinanza l’avrebbe avuta).

Senza soffermarsi sul fondo di verità di tali affermazioni, quello che è certo è la scivolosità della categoria di identità nazionale applicata disinvoltamente, ancor di più per l’élite scacchistica, oggi più che mai cosmopolita. Falliscono, almeno in parte, criteri etnico-linguistici mazziniani, ma neppure si può parlare di puro e malleabile materiale etnografico scacchistico, da vendere al più prepotente o al miglior offerente. Certo rimane che le identità multiple esistono, e forse si farebbe meglio a coltivare almeno negli scacchi l’utopia di una nazione a sé stante, con una sua lingua di regole, una sua cultura e un suo piccolissimo, fatto di sessantaquattro caselle, territorio.


La partita: Francesco Sonis vs Balazs Pasztor, European Individual Chess Championship, 2025, 1-0


Il bianco è riuscito a costringere il Nero a giocare 34.Dd3, e ora ha un’occasione per guadagnare materiale. Riesci a vederla?

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