Corse il miglio sotto i 4’ abbattendo un barriera più mentale che fisica, spianando la strada a nuovi record battuti da tantissimi altri atleti. A dimostrazione che ogni limite è fatto per essere superato
Signore e Signori, questo il risultato della gara numero 9 del programma: il miglio. Primo il numero 41, Roger Gilbert Bannister dell’Amateur Athletic Association, con un tempo che è il nuovo primato di questa pista e che quindi verrà sottoposto a omologazione come il nuovo primato nazionale, europeo, dell’impero britannico e del mondo. Il tempo è di 3 minuti, cinquantanove secondi e quattro!”. Le parole dello speaker Norris McWhirter, che aveva commentato metro per metro tutta la corsa erano un annuncio al mondo prima che ai pochi spettatori che il 6 maggio 1954 erano rimasti a seguire il meeting di atletica sulla pista di Iffley Road a Oxford, un centinaio di chilometri da Londra. Quello che Roger Gilbert Bannister aveva infranto era un vero muro, psicologico e temporale. Quando mr. McWhirter, con tutta la prosopopea che il momento richiedeva e centellinando le parole in modo da portare a ebollizione la temperatura di chi aveva capito di aver assistito a qualcosa di epocale, disse che il tempo era di… pausa teatrale… “3 minuti…”, ecco che l’esplosione di gioia dei presenti cancellò di fatto tutto quel che lo speaker avrebbe detto in seguito. La chiave era quel three invece dell’eterno e apparentemente invalicabile limite dei quattro minuti che nessuno sul miglio riusciva a oltrepassare.
Il miglio è l’unica distanza ad aver resistito alla conversione delle misure inglesi al sistema metrico. Miglio deriva dal latino milia passuum, “migliaia di passi”, nell’antica Roma era l’unità che indicava mille passi. Certo, dipendeva anche da chi li faceva quei passi, ma convenzionalmente si ritenne che un passo corrispondesse a 1,48 metri. Prima che trasecoliate, perché un passo da un metro e mezzo non è normale… bisogna ricordare che questo passo va inteso come la distanza tra il punto di distacco e quello di appoggio dello stesso piede durante il cammino. Quindi stiamo parlando di due passi effettivi, non di uno. Il miglio non è disciplina olimpica, ma resta una gara iconica nelle latitudini anglosassoni. La distanza ufficiale corrisponde al miglio terrestre ed è di 1.609,344 metri.
Siccome le piste d’atletica sono omologate secondo gli standard di gara espressi nel sistema metrico con l’anello di 400 metri la gara sul miglio prevede 4 giri di pista con partenza arretrata di 9,344 metri rispetto alla linea di arrivo. Ricerche storiche datavano addirittura nella seconda metà del 1600 le prime gare sul miglio con un lord inglese, ovviamente, sir Archibald Glover from Nottingham, capace di correre in 4’ e 58”. Tutto da verificare, a partire dalla precisione del cronometraggio. Si narra di un tempo pazzesco per l’epoca, 4’ e 02”, nel 1861 da parte di William Lang. La strada, visto che parlare di pista era vagamente improprio, però era in leggero declivio e quindi l’impresa venne un po’ ridimensionata. Il crisma dell’ufficialità l’aveva il 4’ e 50” netti di Robert Barclay realizzato nel 1804.
Ottant’anni dopo, 1884, un dilettante inglese chiamato Walter George chiuse una gara in 4’ e 18”. Nel 1915 ecco un record non più inglese ma americano. Lo stabilì Norman Taber sulla pista di Cambridge con 4’ e 12”. Il francese Jules Ladoumègue nel 1931 fu il primo a scendere sotto i 4 minuti e 10. Ci si stava avvicinando, non proprio ad ampie falcate ma quasi, al muro. Quello spauracchio chiamato 4 minuti. Una vera e propria Colonna d’Ercole al di là della quale l’uomo avrebbe rischiato di trovare il nulla, se non addirittura la morte. Già, perché circolavano in alcune università studi scientifici che dimostravano con chiarezza che quel limite dei 4 minuti era invalicabile da un punto di vista biologico. L’uomo, si sosteneva, non ha fisicamente la possibilità di andare sotto quel tempo perché è il suo fisico a impedirglielo. Venne spiegato e documentato come il cuore sottoposto ad uno sforzo, appunto, sovrumano come quello di fare 3’ e 59” sarebbe letteralmente esploso.
Capite bene che non era un incentivo così convincente quello di cercare di battere un record con la certezza di stramazzare al suolo in preda a un infarto con conseguenze definitive sulla propria vita. Roger Bannister era uno studente di medicina a Oxford. Stava per laurearsi e i suoi studi approfonditi sull’argomento arrivavano a conclusioni diverse da quelle che circolavano all’epoca. Tra un esame e l’altro Bannister stava diventando un signor atleta. Alto un metro e 87 aveva falcata lunga e ottimo spunto finale. Agli Europei del 1950 a Bruxelles era arrivato terzo negli 800 metri mentre due anni dopo ai Giochi Olimpici di Helsinki si era piazzato quarto nei 1.500. Risultato forse deludente per uno che i pronostici accreditavano per la conquista di una medaglia. L’uomo che più di tutti si era avvicinato al 3’ e 59”, e dunque alla morte certa, era Gunder Hagg, uno svedese che in casa sua, a Malmoe, era stato capace di fermare il cronometro sul 4’01” e 25. Tempone clamoroso realizzato il 17 luglio 1945.
Bannister decide di rischiare la vita nove anni dopo. Maggio, il 6, del 1954. Giornata che di primaverile non aveva niente. Roger, che in quei mesi si sarebbe laureato, passò prima in laboratorio per limare i chiodi e alleggerire le scarpette per non affondare nel fango visto che aveva piovuto assai. Correva senza calzini e gli allenamenti li sosteneva principalmente di notte visto che di giorno studiava. Migliorare il record di Hagg non gli sarebbe bastato. Doveva limare, dopo i chiodi delle scarpette, anche 1 secondo e 4 centesimi. “Ma io studiavo neurologia e sapevo che per abbattere un limite l’organo più importante è il cervello. Non il cuore. Così quando il vento calò decisi di provare, assistito da due amici”, raccontò poi il futuro dottor Roger. I due amici si chiamavano Brasher e Chataway ed erano lì per fargli da lepre. Non esattamente le migliori possibili visto che il primo fece falsa partenza e il secondo andò troppo piano costringendo Bannister a cavarsela da solo. “Quando tagliai il traguardo svenni, non ci vidi più. Non avevo più voglia di vivere”, raccontò anni dopo. Per fortuna non solo sopravvisse al 3’ e 59” ma poté anche raccontarlo a Winston Churchill quando venne da lui ricevuto e premiato.
Vi domanderete quanti decenni avrà resistito un record del genere, una prestazione per molti ritenuta oltre le capacità umane. Solo 46 giorni. Il 21 giugno dello stesso anno a Turku (Finlandia), l’australiano John Landy corse la distanza in 3’58”. I tre cronometristi segnarono tutti 3’57”9 ma il tempo fu arrotondato secondo le regole Iaaf del tempo.
Entro il 1957 ben 16 atleti avrebbero corso il miglio sotto i 4 minuti. In una sera di luglio del 1999 allo Stadio Olimpico di Roma durante il Golden Gala il marocchino Hicham El Guerrouj corse il miglio in 3’43” e 13, attuale record del mondo. Tutti questi innescati da quella prestazione di Bannister, capace non solo di scendere da vivo sotto i 4 minuti, ma anche di dimostrare che ogni limite è fatto per essere superato.