La lezione, che non sarà ascoltata, di Claudio Ranieri e Davide Nicola

Il primo ha portato la Roma a giocarsi la qualificazione in Champions League, il secondo sta salvando il Cagliari. Intanto il Milan continua a perdere

Fortuna che in giro ci sono due come Claudio Ranieri e Davide Nicola che ci dimostrano, sul campo (e dove se no?) che in fondo per fare bene in campionato servono essenzialmente due cose: avere giocatori bravi e fargli fare quello che sanno fare meglio. Claudio Ranieri e Davide Nicola – non sono i soli – sono due che non hanno il vezzo di insegnare a nessuno quella noiosa materia che è Teoria e tecnica del calcio moderno. Sono due che fanno quello che devono fare, cioè lavorare, e lasciano che siano gli altri a blaterare cose che non interessano niente ai tifosi, quelli veri, quelli che ancora gioiscono e si incazzano per le partite.

Claudio Ranieri ha preso una squadra che faceva abbastanza schifo ed era più le volte che perdeva o pareggiava rispetto a quelle nelle quali vinceva e l’ha portata a giocarsi l’accesso in Champions League. Davide Nicola è un passo dalla salvezza con una squadra alla quale in pochi davano una chance di rimanere in Serie A perché piena di giocatori che sembravano mezzi finiti e giovani di buona volontà e non eccelso talento. Si è barcamenato un po’, poi gli hanno preso un portiere di ottimo talento, Elia Caprile, e le cose sono andate assai meglio.

In quello sbrodolio di filosofia calcistica un tanto al chilo, tutto questo è una speranza. Ocio però che troppo spesso presidenti e dirigenti dribblano il buon senso come lo faceva Roberto Baggio nei giorni migliori, si innamorano di un’idea tanto inutile quanto lo è chiedere qualcosa alle stelle e va a finire che credono alle fuffe di qualche sedicente mago della tattica.


Questa è Ocio però, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sul campionato di calcio italiano, un piccolo breviario per evitare di prendere troppo sul serio la giornata di Serie A appena giocata


A volte però non serve nemmeno sbrodolare filosofia calcistica per fare macelli pallonari. Basta solo decidere di fare il duro senza esserlo per davvero, far vedere di aver tutto sotto controllo senza aver nulla sotto controllo. Tipo Sérgio Conceição.

L’allenatore portoghese è un’anima in pena. Si aggira davanti la panchina provando a sbraitare, minacciare, ordinare, senza però che quasi nessuno lo ascolti. A dargli retta sono in pochi, gli altri se ne fregano di lui e spesso anche del campo. Scendono in campo pieni di sicumera, svogliati dal troppo talento presunto che hanno in dono. Le prendono, vanno in svantaggio, ogni tanto si svegliano, fanno capire di essere davvero giocatori di talento, ma dura poco. È successo pure con un Napoli tenuto in alto ormai quasi soltanto dalla rabbia di Antonio Conte. Se ne fregano pure dei fischi dagli spalti. Anzi attribuiscono colpe ai loro tifosi. Sono pure troppo i pazienti i tifosi. Ocio però che anche la passione, la fede calcistica, ha un limite di sopportazione massimo e può andare a finire che chi è solito cantare e supportare una squadra si stufi di farlo. E uno stadio muto e senza gente è qualcosa di triste ancor più di una festa di compleanno senza nessuno.

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