Un’esule russa distrugge il falso umanitarismo dei fan di Hamas in occidente
Tra tutte le parole intraducibili della lingua russa, la mia preferita è poshlost, che rappresenta un concetto onnipresente, sebbene non riconosciuto, nel mondo occidentale moderno”, scrive sul mensile Commentary Irina Velitskaya, immigrata in America dalla Russia nel 2012. Il nonno paterno ucraino, Danil Fyodorovich Bykoder, ha scontato 15 anni, a partire dal 1923, nel campo di lavoro di Solovki, le cui crudeltà sono state vividamente descritte nell’opera epica di Aleksandr Solgenitsin, “Arcipelago Gulag”. Il crimine tripartito di suo nonno era criticare Stalin, essere un intellettuale ed essere ebreo.
“Poshlost è intraducibile perché non può essere riassunto in una sola parola e rappresenta invece moltissimi concetti interconnessi. Ma se, nel tentativo di capirlo, si sezionasse poshlost, si troverebbero al suo interno, che si contorcono come piccoli vermi, le parole ‘unto’, ‘compiaciuto’, ‘superficiale’ e ‘trasandato’. E tuttavia, per quanto contorta possa essere questa immagine, questa è solo metà di ciò che si trova all’interno di poshlost, perché intrecciato al primo insieme di significati c’è un secondo insieme: ‘virtù immaginaria’, ‘narcisismo inconsapevole’, ‘lamento belligerante’ e ‘sdegno di sé’. Non è solo l’evidentemente trash, ma anche il falsamente importante, il falsamente bello, il falsamente intelligente, il falsamente attraente’, come ha detto Vladimir Nabokov. E’ la convinzione errata, ha continuato Nabokov, ‘che l’apice della felicità umana sia acquistabile e che il suo acquisto in qualche modo nobiliti l’acquirente’. Un critico letterario che ha scritto sull’opera di Nabokov ha descritto la parola come ‘meschina malvagità o volgarità compiaciuta di sé’. E qual è l’apice della felicità umana per questi volgari compiaciuti di sé?
Nel contesto occidentale contemporaneo, e in particolare tra gli studenti universitari e l’intellighenzia, è la sensazione di essere migliori, più virtuosi e più profondamente umani della maggior parte delle masse meschine, ribollenti e insensibili che ti circondano. Il che ci porta, naturalmente, all’esempio più ripugnante di poshlost nel mondo moderno: la sottile patina di umanitarismo e pathos surrogato che gli intellettuali occidentali imbrattano la realtà palesemente odiosa della retorica e della violenza suprematista islamista. Sui social media pro palestinesi, questi simboli di virtù egocentrica assumono la forma di immagini generate dall’intelligenza artificiale di bambini che piangono seduti tra le macerie delle zone di guerra, bambine palestinesi sui pattini a rotelle rosa che guardano innocentemente verso l’alto un jet israeliano in avvicinamento e coraggiosi bambini palestinesi che lanciano pietre di modeste dimensioni con le fionde contro i carri armati. Ci sono anche, soprattutto nelle biografie sui social media dei sostenitori bianchi e occidentali della Palestina, assemblaggi di emoji sciropposi che presentano la bandiera palestinese, accompagnata da uno o più dei seguenti elementi: un cuore rosso brillante, una colomba bianca della pace, un arcobaleno, un unicorno, una bandiera LGBTQ+ e, naturalmente, un’anguria, spesso accompagnata da un link per la raccolta fondi per le famiglie di Gaza (anche se è probabile che tali fondi non andranno mai oltre un conto bancario di Hamas in un posto come il Qatar, ma ehi, è il pensiero che conta!). Il più delle volte, c’è una dichiarazione secondo cui il creatore digitale è un ‘umanitario’ che pensa ‘dovremmo essere tutti gentili gli uni con gli altri’ e ‘credere nell’amore per tutti gli esseri viventi’, è ‘così pieno d’amore che riesco a malapena a parlare’ e chiede lamentosamente: ‘Perché mi interessa così tanto?’.
I loro post (come gli striscioni che sventolano alle manifestazioni) includono frasi come ‘Non devi essere palestinese o musulmano. Devi solo avere un cuore’, ‘Stare con la Palestina dimostra di avere un’anima’ e simili riconoscimenti sentimentali che i poster hanno un’alta opinione di sé stessi, o almeno vorrebbero averla. Non c’è mai un accenno, almeno non in nessuna poesia di o sui palestinesi che abbia mai incontrato, che le mani palestinesi possano essere altro che ‘gentili’ o ‘amorevoli’. Da nessuna parte si trovano mani che lanciano razzi nelle comunità israeliane, o pugnalano alle spalle nonne sopravvissute all’Olocausto, o sparano con armi semiautomatiche alla testa degli abitanti dei kibbutz. Da nessuna parte ci sono le mani che hanno linciato e sventrato due israeliani durante la Seconda intifada e hanno spinto i loro organi interni in aria per il divertimento di folle gioiose. Immagini del genere, suppongo, non sarebbero molto belle per poesie. Spesso, le parole e i simboli tradiscono una finta innocenza sdolcinata e banale e un’insistenza nel trattare i palestinesi come nient’altro che morbidi peluche.
Tra i più ripugnantemente sentimentali tra i fornitori di poshlost ci sono i giovani ebrei americani che hanno stretto relazioni ‘coccolose’ con attivisti palestinesi, come un noto cercatore di clic e like che scrive: ‘Non mi sono mai sentito più visto e gentilmente sostenuto nel mio giudaismo di quanto mi senta nel movimento per la Palestina liberata’. Forse l’esempio più eclatante di poshlost palestinese è l’assurda affermazione astorica che Gesù non era ebreo ma, in modo inverosimile, di un’etnia che non esisteva nemmeno fino al 1964. Nessuna di queste persone è stupida. Sanno che il movimento ‘Palestina libera’ (che non cerca la libertà né può indicare l’esistenza di una vera Palestina storica) è in fondo una campagna massimalista iperviolenta finanziata dall’Iran e parte di un progetto a lungo termine per stabilire un califfato islamista globale in cui l’unico posto per ebrei, cristiani e altre minoranze sarebbe sottoterra. E devono sapere, da qualche parte nel profondo, che vengono usati dai jihadisti, che li ringraziano per il loro lavoro nel prolungare la guerra che volevano, mentre ridono alle loro spalle dei loro costumi assurdi e delle loro pretese banali. Ma poi, l’insincerità è l’essenza del poshlost. E’ un simulacro di realtà abbellito e ricoperto di zucchero che romanticizza il male e infantilizza coloro che lo fanno. Perché al centro del poshlost, e quindi del sentimentalismo, c’è il rifiuto di impegnarsi onestamente con la realtà viscerale del mondo, di vedere le cose al di fuori di un giardino di illusioni attentamente coltivato, di comprendere causa ed effetto e di essere disposti a impegnarsi con le conseguenze delle proprie azioni e delle azioni degli altri. Ma che dire dell’altra parte della definizione di Nabokov, la nozione che i fornitori di poshlost credano scioccamente che ‘la felicità è acquistabile e che il suo acquisto in qualche modo nobiliti l’acquirente’? Cosa stanno effettivamente acquistando i dimostranti pro Palestina, a parte le bandiere delle organizzazioni terroristiche e le kefiah che sono prodotte in Cina e forse prodotte dal lavoro forzato dei musulmani uiguri? La risposta breve è l’approvazione dei pari, la credibilità e una temporanea senso di rettitudine morale, acquistato solo a costo dei loro principi precedenti. Perché queste sono persone che, presumibilmente, un tempo erano moralmente contrarie allo stupro, all’omicidio di massa e alla presa di ostaggi. Il fatto che la maggior parte dei manifestanti del campus si trovi nelle università più costose non è un dettaglio di questa ipocrisia; il poshlost è un crimine di privilegio. E’ una dichiarazione politica che serve a compiacere chi la emette senza, in alcun modo, promuovere gli interessi della causa che pretende di rappresentare. E’ un segnale di virtù in cui lo scopo è impressionare sé stessi piuttosto che cambiare le opinioni degli altri. (…)
Questi manifestanti eleganti e comodi, che fingono di essere bambini con le loro kefiah e sventolano bandiere il cui significato gli è sconosciuto, sono davvero moralmente persi. Il romanziere Milan Kundera, che conosceva bene gli orrori del regime totalitario, ha ben stroncato il falso sentimentalismo: ‘Due lacrime scorrono in rapida successione. La prima lacrima dice: che bello vedere i bambini che corrono sull’erba! La seconda lacrima dice: che bello essere commossi, insieme a tutta l’umanità, dai bambini che corrono sull’erba’.
In altre parole, ‘il sentimentalismo è quel vizio tipicamente umano che consiste nel dirigere le proprie emozioni verso le proprie emozioni, in modo da essere il soggetto di una storia raccontata da sé’, come ha osservato il filosofo inglese Roger Scruton nella sua autobiografia. Tra i sentimentali, sebbene alcuni siano benintenzionati e ingenui, gli innocenti sono stati da tempo superati dai cinici calcolatori. Questi ultimi mascherano il male in un modo non diverso da quello dei comandanti di Theresienstadt, dove i nazisti piantarono graziosi giardini e dipinsero baracche con colori vivaci per ingannare gli ispettori della Croce Rossa.
Per essere chiari, ci sono molte categorie e tipi diversi di bugie sul conflitto. Il sentimentalismo insincero sui palestinesi potrebbe non essere il tipo peggiore, ma è il più insidioso perché si avvolge in un falso mantello di decenza e compassione che fa appello all’innato narcisismo morale delle persone. Si infiltra nella psiche delle stesse persone che pensano di essere le più gentili, le più sincere e apparentemente le più amanti della pace. Sono, in effetti, esattamente l’opposto di queste cose. Se pianti giardini metaforici che oscurano la tua visione di omicidi reali e canti melodie folk poshlost progettate per abbellire gente come Hamas, Hezbollah e gli Houthi, sei diventato moralmente in bancarotta. Nonostante la tua chitarra, il tuo senso di colpa e le opinioni approvate dai tuoi coetanei, hai perso la tua anima da tempo”.
(Traduzione di Giulio Meotti)