Dopo l’inchiesta del Foglio, il ministero della Cultura si è messo a cercare le dimore signorili ristrutturate “gratuitamente”. Ne ha trovata una sola: il castello di Gioiosa Ionica dei marchesi Pellicano-Barletta. Ma la caccia al tesoro continua
Dario Franceschini, che ora vuole dare ai figli il cognome della mamma, quando era ministro aveva dato ai castelli la possibilità di usare il Superbonus. Ma ora tocca al suo successore, Alessandro Giuli, cercare dove sono queste dimore storiche e chi sono i loro padri (ovvero i proprietari). Per il momento è stato individuato un solo castello. L’operazione, apparentemente banale, si è rivelata difficilissima.
La normativa inizialmente escludeva i ceti più ricchi: il Superbonus non si applicava “alle unità immobiliari appartenenti alle unità catastali A/1, A/8 e A/9”, ovvero abitazioni signorili ville e castelli. Poi la misura si è allargata nello spazio e nel tempo, ma soprattutto nei costi (circa 160 miliardi di euro a fronte dei circa 35 previsti). Uno di questi ampliamenti fu opera del ministro Franceschini, che tra gli “Interventi finanziari di emergenza nel settore cultura” estese il Superbonus agli edifici di categoria catastale A/9 (i castelli appunto) purché aperti al pubblico. “Mi sono impegnato per estendere l’ecobonus alle dimore storiche – disse Franceschini a un evento dell’Associazione Dimore Storiche Italiane – perché la valorizzazione di questo grande patrimonio è un pezzo importante dell’attrattività italiana”.
Per poter ristrutturare la propria dimora storica “gratuitamente”, i proprietari dovevano semplicemente aprirla al pubblico un giorno al mese per soli cinque anni. E perciò una condizione di accesso al sussidio era una comunicazione alla soprintendenza in cui veniva preso questo impegno e indicato, anno per anno, il calendario delle aperture che il ministero della Cultura avrebbe poi dovuto pubblicizzare sul proprio sito per consentire ai contribuenti di visitare i castelli privati rinnovati con le loro tasse. Secondo il report di Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie), che tiene conto degli interventi del Superbonus, sono stati ristrutturati otto castelli in quattro regioni (Piemonte, Lombardia, Lazio e Basilicata) per un costo complessivo di circa un milione di euro (135 mila euro cadauno), ma non si sa quali siano e dove si trovino di preciso.
Il Foglio, lo scorso 26 febbraio, ha raccontato questa assurda storia e lo sforzo, finora vano, di venirne a capo. Il ministero della Cultura non ne sapeva nulla. Mentre Enea, che ha i dati dei castelli, non poteva rivelarli per rispetto della privacy. A quel punto, su indicazione del ministero della Cultura, abbiamo fatto una richiesta di accesso agli atti alle 11 soprintendenze che ricadono nelle quattro regioni interessate, ma dopo un mese le risposte sono state tutte negative: dopo aver ricercato negli archivi fisici e digitali, nessuna soprintendenza ha trovato pratiche o richieste su castelli che hanno usato il Superbonus. La Soprintendenza più meticolosa, quella della Basilicata, ha chiesto a Enea i dati di questo presunto castello lucano che nel database dell’Agenzia risulta ristrutturato con il bonus al 110%, ed Enea ha risposto che in realtà si tratta di uno sbaglio: dopo un controllo formale sull’immobile è emerso che è stato commesso un errore nell’asseverazione della categoria catastale da parte del professionista responsabile della richiesta.
A questo punto il ministero della Cultura si è messo a fare i suoi controlli per mettere a posto questa situazione che contrasta chiaramente con gli obblighi di legge. E così ne ha trovato uno, però in una regione in cui secondo i dati dell’Enea non dovrebbe essercene nessuno: la Calabria. È il castello medievale di Gioiosa Ionica, appartenuto prima ai nobili Carafa e poi ai Caracciolo, ma da un paio di secoli di proprietà dei marchesi Pellicano-Barletta (il casato a cui apparteneva il poeta e pittore Massimo Pellicano). Tre giorni fa la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Reggio Calabria, come prevedeva la normativa, ha finalmente pubblicato il calendario dell’apertura al pubblico del castello dei marchesi Pellicano che sarà visitabile solo a partire da gennaio 2026.
E gli altri sette castelli? In realtà non si sa se esistono, visto che i dati non coincidono con il report mensile pubblicato dall’Enea. Potrebbero essere molti di più o molti di meno: uno, nessuno o centomila. Fonti del ministero della Cultura fanno sapere al Foglio che “il Superbonus è stata una delle operazioni più tragiche per i conti pubblici italiani di cui tutti gli italiani pagheranno il prezzo per anni. Le dimore storiche, compresi i castelli, sono un patrimonio importante per la nostra nazione che va valorizzato con misure concrete e sostenibili non certamente in questo modo”.
Sta di fatto, però, che ormai la frittata è fatta. L’unica cosa che si può fare è pretendere, quantomeno, che una legge – pur ritenuta sbagliata – venga rispettata nelle parti in cui obbliga alla trasparenza e all’apertura al pubblico di queste dimore signorili, seppure per un solo giorno al mese. E così, da circa un mese il ministero della Cultura sta cercando questi benedetti castelli, chiedendo alle soprintendenze sul territorio e confrontandosi con l’Enea sui dati fiscali e catastali. Uno ne è stato trovato, ma la caccia al castello degli uffici del ministro Giuli prosegue. Dovrebbero essercene altri.
Se negli Stati Uniti ormai i ministri rivelano ai giornalisti i piani di guerra attraverso le chat di Signal, in Italia la riservatezza sul Superbonus è tale che non vengono diffuse neppure le informazioni sui castelli che dovrebbero essere pubbliche. Anzi, per essere certi che nessun cittadino possa sapere nulla, queste informazioni sono ignote anche ai ministeri.