Mai sciabolato in vita mia. Parla il figlio di Wanna Marchi

Maurizio Nobile, antiquario e figlio della regina delle televendite, si racconta per la prima volta: “Mi ha salvato la bellezza”

Maurizio Nobile è un signore elegante e riservato che non dimostra i suoi sessantatre anni (anche se per civetteria dice di averne sessantaquattro). E’ appena ritornato dal Tefaf, la Art Basel dell’antiquariato, e si prepara per il MiArt a Milano. Ha lavorato con collezionisti privati e prestigiosi musei internazionali come la National Gallery di Washington, la Morgan Library o il Metropolitan Museum di New York. La sua prima galleria antiquaria la apre nel 1987 in via San Gervasio a Bologna e poco dopo, nel 1989, si sposta in Piazza Santo Stefano, dov’è tutt’ora. “Nel 2010 inauguro una seconda sede a Parigi, e questo mi permette di partecipare al Salon du Dessin e poi al Tefaf”, dice al Foglio. Siamo qui nella sua galleria sotto i portici di Bologna dove pendono opere del Seicento, ritratti antichi, sculture dal Cinque al Novecento, e anche qualche piccolo Morandi, mentre la cagnolina Gea scodinzola tra i capolavori e Nobile è un po’ provato da tutta la situazione. In mezzo a tutta questa sciccheria, chi potrebbe mai pensare infatti che l’elegante antiquario sia il figlio primogenito di Wanna Marchi, e fratello di Stefania, le regine delle televendite, poi dei sali miracolosi, poi delle truffe, infine del caso Gintoneria, il localone milanese di Davide Lacerenza dove si “sciabolavano” le bottiglie di champagne, e non solo.

Lui però è rimasto sempre fuori dalle vicende familiari, una vita completamente separata, mai indagato, mai sfiorato dagli scandali. Mai neanche dato un’intervista in vita sua. “Mi hanno salvato l’arte e la musica”, sospira. “Io ho sempre frequentato persone normali, o intellettuali, o storici dell’arte. Ho gli stessi amici da sempre, a cui voglio molto bene. Mi piacciono le persone normali. E, poi, cos’è la normalità? Vado a letto alle nove, mi sveglio presto, l’unica mia trasgressione è un bicchiere di vino. Droga? Mai. Una volta a vent’anni mi son fatto uno spinello e son stato male due giorni”. E’ mai stato alla Gintoneria? “Qualche volta, quando mi trovavo a Milano per lavoro. Arrivavo alle sette di sera, andavo a trovare mia madre e mia sorella, stavo lì un’ora, bevevo un bicchiere di chardonnay e me ne andavo. Non avrei mai immaginato di essere intercettato mentre parlavo con mia madre”. Già perché le conversazioni di Wanna Marchi, che si dice preoccupata per la piega presa dagli eventi, per la figlia Stefania (arrestata), e rabbiosa col trucido Lacerenza, erano proprio col figlio Maurizio.

Ha mai avuto una compravendita saltata perché scoprivano che era figlio di Wanna Marchi? “No, non è mai stato un problema con i miei clienti, era solo un problema psicologico personale, del resto nessuno me l’ha mai fatto pesare. Mia madre è stata una madre bravissima, mi ha insegnato tutto. Mi ha cresciuto anche in un modo rigido. Penso di aver preso il meglio di lei. Poi a 18 anni sono andato via di casa, ho fatto la mia vita”. E la passione per l’arte e l’antiquariato quando è nata? “Subito. Ho sempre amato la bellezza. Ma i primi anni facevo fatica. I miei nonni paterni amavano come me l’arte e la musica e questo mi influenzò molto nei primi dieci anni della mia vita.

La storia della famiglia Marchi-Nobile è diversa da com’è stata raccontata. Diversa da quella super proletaria che si narra. “Mio nonno paterno era siciliano, un mercante di tessuti porta a porta, poi fece fortuna e costruì case a Bologna, dove io sono nato. In seguito si spostarono a Milano, dove aprirono un grande negozio in via Vittor Pisani. Mia nonna veniva da una famiglia aristocratica, eravamo molto benestanti”. Pare che questa sua nonna paterna odiasse la Wanna, la ragazzina povera di Castel Guelfo. “Ma no, anzi. Ma era siciliana, qualsiasi donna che mio padre avesse portato in casa non le sarebbe andata bene come nuora”. Tra i suoi genitori si parlava di un rapporto burrascoso. “Erano molto innamorati, ma erano molto giovani. Forse troppo giovani. Mia nonna materna, invece, la Enedina, era una donna stupenda. Faceva la ricamatrice e nonostante fosse di origini umili sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto. Il mio maestro è stato soprattutto Giancarlo Morini, persona fondamentale nella mia vita, grande collezionista e appassionato di arte antica di Ancona. E’ con lui che ho cominciato ad amare il mio lavoro. Quando partecipava alle aste, gli altri dicevano: c’è Morini, non ce n’è più per nessuno. Siamo stati e siamo tuttora grandi amici. Ha novant’anni e la sua grande verve non è scemata con il tempo. E’ stato lui ad avvisarmi alle 8 della mattina del 4 marzo che mia sorella era stata messa agli arresti domiciliari. Sono caduto in uno sconforto senza limiti, anche perché da lì a pochi giorni sarei dovuto partire per Maastricht per partecipare al Tefaf”.

Oggi però l’antiquariato è in crisi, al trumeau della nonna che un tempo era “un assegno circolare” si preferisce magari il design di plastica o l’ubiquo contemporaneo. “E’ un momento di difficoltà per l’arte antica, ma solo per le opere di medio livello. I dipinti, gli oggetti, le sculture, i disegni di grande qualità trovano sempre un acquirente e il mercato regge alla grande. Quando aprii nel 1987 la prima mostra che feci fu a Carpi e la mia vicina di stand, che allora era una grandissima antiquaria, mi disse che avevo aperto nel peggior periodo della storia dell’antiquariato. Ed erano anni d’oro. D’altronde, l’arte contemporanea ha sempre funzionato di più, non dimentichiamo che sono stati contemporanei anche Michelangelo, Raffaello e Caravaggio”.

Matriarcato d’epoca: “Quando ho iniziato, a Milano c’erano tre grandi antiquarie, tutte donne: Florence Taccani, Maria Antonia Gianetti e, non per ultima, Nella Longari. Io ero un ragazzo e le vedevo come un esempio da seguire. La Gianetti mi diceva sempre: ‘com’è appassionato signor Maurizio, guardi che se vuol far questo mestiere partirà con una sedia e finirà con cento sedie, e senza soldi’. Un po’ era vero”.

Però ci sono stati anche i grandi collezionisti suoi clienti. “A Milano Gianni Versace, che aveva riportato lo stile Impero ai grandi splendori napoleonici. Veniva con Elton John e Tina Turner e comprava tantissimo durante le fiere per arredare le sue varie residenze dal lago di Como a Miami. Comprava talmente tanto alla mostra degli Antiquari Milanesi, prima della apertura al pubblico, che Franco Sabatelli, che allora ne era il presidente, ci faceva riassortire completamente lo stand la notte. A Roma invece c’era Silvio Berlusconi, che all’inizio si fidava ciecamente di un collega romano, ma è stato anche un mio ottimo cliente. Veniva sempre nel mio stand alla Biennale d’Antiquariato di Palazzo Venezia, di fronte a Palazzo Grazioli. Una volta passò velocemente prima di partire per una visita di Stato in Cina. Ero lì con Giancarlo Morini, che era appena stato operato a un occhio e portava gli occhiali scuri. Berlusconi gli chiese cosa gli fosse successo e perché portasse gli occhiali. Lui rispose: sapesse Presidente! Avevo gli occhi più belli di Ancona, mi hanno trovato un carcinoma e mi hanno operato. Berlusconi promise di tornare dopo la Cina ma nessuno ci fece affidamento. Invece tornò veramente e chiese a Morini come andava il suo occhio. Era un uomo di grande empatia: una persona speciale. E lo dico da persona di sinistra”.

Lei ha dovuto fare coming out con la Wanna nazionale? “No, non ci fu bisogno, a mia madre riferirono che andavo al Kinki a Bologna, la prima discoteca gay d’Italia”. L’omosessualità era un problema in casa Marchi? “No, mai. Lei è sempre stata una donna molto aperta e non mi ha mai ostacolato. Mio padre era un po’ meno d’accordo. Essendo il primogenito, il maschio, l’ha accettato più tardi. Siamo stati lontani a lungo, poi però ci siamo riappacificati e gli ultimi anni è venuto a vivere con me e Mario, il mio compagno. Veniva a trovarmi in galleria tutti i giorni e ancora oggi, nonostante siano passati quasi vent’anni, mi manca molto. E’ morto per ictus nel 2007”. E lei è fidanzato ora? “No, sono single, anche se ho avuto due storie lunghe e importanti. I miei compagni sono rimasti i miei migliori amici. E sesso basta. Io sono come Amanda Lear, il prossimo uomo che mi vedrà nudo sarà il medico legale all’obitorio”. Ma non si butti giù. E’ così in forma. “Sono dimagrito altri due chili per questa brutta storia”. Pensavo per lo scioglipancia. Scusi, non volevo, vabbè.

“Ogni giorno è come se indossassi una maschera e vado avanti. Per uno come me, che se prende una multa per divieto di sosta si agita, questa situazione, può capire, mi mette in seria difficoltà”, protesta lui. Ma stia tranquillo, oggi abbiamo uno come Trump alla guida del mondo libero, la reputazione è una cosa passata di moda. E poi lei è riuscito a andare avanti per la sua strada. “Sì. Anche la docuserie Netflix mia madre l’ha accettata a patto di tenermi completamente fuori e questo le fa onore”. Secondo lei qual è il demone che muove sua madre? I soldi? La rivalsa sociale? “Non lo so. Lei è una persona normale e semplice alla fine. C’eravamo anche riavvicinati ultimamente. Mia madre e mia sorella sono due donne che di persona non sono così come appaiono in televisione. Anzi, tutti quelli che mi conoscono mi chiedono sempre di incontrarle. Non ho mai capito se per curiosità o perché mia madre effettivamente è stata una parte importante della storia della televisione italiana”.

E sua sorella, che molti indicano come la vera entità belluina della famiglia? “Il rapporto con lei è sempre stato abbastanza complicato, anche se penso fermamente che ci vogliamo molto bene. Siamo però completamente diversi. Stefania, a prescindere dall’impressione che dà, è una donna molto dolce, fragile, che usa la sua aggressività per difendersi. Non voglio mettere in discussione le sue scelte, pur non avendole mai condivise. Sono andato a trovarle nei vari carceri, nonostante stessi veramente male nel vederle in quella situazione. Avrei fatto di tutto per cancellare ogni cosa. Ci siamo riavvicinati negli ultimi anni, dopo il carcere, ed ero molto felice di questo”.

In Albania, dopo il processo e le tante traversie, sembravano aver trovato pace. Ma perché proprio l’Albania? “Ognuno di noi trova un luogo dove sta bene e dove si sente a proprio agio. Per me ad esempio è Nizza, dove, quando arrivavo, mi sentivo subito a casa. Per loro era l’Albania. A me è un posto che fa un po’ tristezza”. Be’, sì, Tirana non è proprio Costa Azzurra. Si narra che proprio in Albania sia nascosto il famoso tesoro di Wanna Marchi. “Ma no, non esiste nessun tesoro”.

Negli anni Ottanta però altro che Albania. Sua madre andava al Costanzo Show, era una star. “Andò anche a Fantastico a estrarre i numeri della Lotteria Italia e fu l’anno in cui vendettero più biglietti”. Ho letto però che sottobanco ne comprava tanti. “Ah, questa non l’ho mai sentita”. “Ma in quegli anni interpretò anche se stessa nelle vesti di una guaritrice che vendeva unguenti miracolosi contro la peste, nella versione dei ‘Promessi sposi’ del Trio Solenghi Marchesini Lopez. Diventammo amici, a Bologna andavo in palestra con Anna Marchesini, che ai tempi la imitava, così come la Goggi. L’hanno imitata tutti. Era un fenomeno studiato anche nelle università”.

E lei non ce l’ha mai avuta la fascinazione per la tv? “No, al contrario. Io se si accende una telecamera mi paralizzo. Mi hanno intervistato a Maastricht alla mostra dell’antiquariato, ma io proprio mi blocco. Sono il contrario della mia famiglia”. Da piccolo però fece il valletto con sua sorella in alcune trasmissioni di sua madre. “Solo due o tre volte quando era a Rete A, dopo mia sorella ha continuato, io no. A me piacciono altre cose. Mi piace la bellezza. Mi ha salvato la musica, oltre l’arte. La Callas! Non c’è giorno che non la ascolti”. Ha visto il film? “Sì, non mi è piaciuto. Non era affatto così sola e disperata come l’ha dipinta il regista Pablo Larraín. Me lo raccontava la mia amica Rossella Falk. E poi la scelta di Angelina Jolie: tutto sbagliato”.

E lei l’opera la frequentava? “Certo, ho visto tutti i teatri del mondo oltre alla Scala: sono un melomane. Ho conosciuto tutti i più grandi cantanti lirici, da Mirella Freni a Luciano Pavarotti, da Monserrat Caballé a Ruggero Raimondi. Un mio caro amico è stato Franco Zeffirelli. L’ho frequentato per tanti anni. Lo conobbi la prima volta all’età di 19 anni. Il mio primo compagno mi disse che aveva due biglietti in platea per vedere la ‘Cavalleria rusticana’ e i ‘Pagliacci’ alla Scala. Rimasi meravigliato, ma non feci troppe domande. Ero giovane e anche un po’ tonto. Subito dopo l’opera fummo invitati al ristorante A Santa Lucia di Milano da Zeffirelli. Oltre a lui c’erano Valentina Cortese, Placido Domingo, Elena Obraztsova, Brooke Shields e altre celebrità. Il mio amico aveva un posto riservato accanto a Zeffirelli, ma lo stesso Zeffirelli, vedendoci insieme esclamò: preferisci me o i tortellini? Io capii dopo che i ‘tortellini’ ero io. Allora io e il mio amico ce ne andammo sulla sua Due Cavalli, ma Zeffirelli ci insegue e ci tira addosso una enorme fruttiera rompendo tutto il parabrezza”.

So che lei è superstizioso. Per farsi intervistare mi ha chiesto di che segno fossi. Non è che anche lei fa delle magie come il mago do Nascimento? “Ma no, al massimo vado qualche volta a farmi fare le carte da una sensitiva qui a Bologna. Alla fine è come andare dallo psicologo. Poi dopo stai un po’ meglio”. E senta, ci dica la verità, lei ha mai sciabolato in vita sua? “Io no. Ma mi ricordo che a Roquebrune c’era il ristorante Il Pirata, famoso per la sciabolata. Ma non credo che Lacerenza ci sia mai stato”.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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