In Parlamento e al governo il titolo scolastico è decorativo e superfluo: averlo non garantisce nulla e non averlo non preclude nulla. Questa querelle, però, sottolinea l’importante principio secondo cui dovrebbe contare ciò che si sa fare, non il diploma preso chissà come
Ma perché sbraitano tanto per la laurea? A cosa serve? L’ultimo grido è la polemica montata sul presunto titolo falso (presunto titolo o presunto falso: non si capisce) della ministra del lavoro, Marina Calderone. Il caso, di là dal ricordarci dell’esistenza della ministra Calderone, non ha la minima utilità concreta: se anche un ministro non avesse la laurea, potrebbe comunque fare il ministro; e, se anche un ministro andasse in giro tappezzato di pergamene prodotte a Cambridge, a Oxford, a Harvard e alla Sorbona, verrebbe comunque preso a pernacchie al primo talk show con un guitto di passaggio.
A che pro dunque dotarsi di lauree false? E a che pro denunciare che sono false? In parlamento e al governo la laurea è decorativa e superflua, vanità di vanità; si sa bene che averla non garantisce nulla e non averla non preclude nulla. Forse però questa querelle è una delle poche circostanze in cui il paese reale può trarre giovamento dall’esempio di quel reality in ghingheri che è la politica italiana: prendere atto che, per ministri e deputati, di fatto la laurea è priva di valore legale, poiché non conta nella distribuzione delle cariche; ed estendere il principio che dovrebbe contare ciò che si sa fare, non il diploma preso chissà come per la gioia di incorniciarlo e appenderlo, a tutti i cittadini e non soltanto ai politici.