Finocchiaro: “Togliere il cognome del padre ai figli è una discriminazione al contrario”

“Giusto affiancare il cognome della madre a quello del padre, ma attenzione a non mettere in atto una legge del taglione contro i maschi”. Il paternalismo in politica esiste? “Eccome. Ma le donne, comunque, avanzano”. Parla l’ex ministro per le Pari opportunità del governo Prodi

Roma. “La proposta di Dario Franceschini riconosce la necessità che la madre non scompaia. E su questo siamo d’accordo…”. Ma? “Ma la scomparsa del cognome del padre, devo dire, è un’idea altrettanto discriminatoria”. Le parole sono quelle di Anna Finocchiaro, presidente della fondazione Italiadecide, già ministro delle Pari opportunità del governo Prodi e dei Rapporti con il Parlamento del governo Gentiloni. Donna e politica di sinistra (entrata in Parlamento nel 1987 con il Pci) che nel dibattito frizzante, e a tratti burlesco, intorno al ddl Franceschini, non disattende certo una visione progressista del mondo, convinta com’è che il cognome della madre – accanto a quello del padre – risponda al diritto all’identità del figlio. Vero cardine del discorso.

E nondimeno riconosce, Anna Finocchiaro, come la proposta dell’ex ministro della Cultura – che vorrebbe il solo cognome materno in segno di “risarcimento” dopo eoni di patriarcato – “non sia stata attentamente misurata”. In che senso? “Franceschini ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo, ha voluto compiere un atto di estrema generosità nei confronti delle madri. Però, prima di esultare, facciamo uno sforzo”. Sì? “Ecco. Immaginiamoci i maschi tra cent’anni, dopo un secolo di figli portatori del solo cognome materno”. I padri lamenterebbero quello che per secoli hanno lamentato le madri. L’immagine è in effetti surreale. “L’immagine è surreale quant’è surreale doverne parlare, oggi, con tutto quanto accade nel mondo. Detto questo, comunque, i cognomi sono o dovrebbero essere due. Come due sono i coniugi e due sono i genitori: madre e padre. Rendere invisibile uno dei due non è la soluzione. Soprattutto se il punto di partenza e di arrivo non è la legge del taglione – ovvero maschi-contro-femmine – ma il diritto all’identità del figlio”.

L’idea di Franceschini è goffa, dunque? O se non altro incompleta? “Come le ho detto è un’idea generosa. Ma forse lo è fin troppo. Io credo che il cognome della madre debba affiancare quello del padre. E che questo sia un passo progressivo rispetto a un ordine sociale e culturale che per millenni, invece, ha dato per ovvio il privilegio maschile”. La successione patrilineare del cognome? “Il cognome maschile si è tramandato sempre. Senza eccezione. Esattamente come con il pater familias nel diritto romano. Al tempo c’era lo ius vitae ac necis: il diritto di vita o di morte del padre su tutti i famigliari. Oggi c’è il privilegio non scritto del cognome”. Perché “non scritto”? “Perché il legislatore non si è neppure mai posto il problema di specificarlo. Né nel 1942 né mai. Ha dato per scontato che al figlio fosse imposto il cognome paterno. Ancora oggi, a ben vedere, la questione si demanda alle sentenze della Corte costituzionale. Per cui la sentenza 286 del 2016 afferma l’incostituzionalità della legge vigente sulla base del diritto all’identità del figlio e della parità giuridica dei coniugi. Fintanto che il Parlamento latita”. Perché latita? “Perché il doppio cognome, per molti parlamentari maschi, è un’insidia. E’ un’eresia al di là dell’appartenenza politica”.

Il deputato cattolico dem Stefano Lepri sostiene invece che il cognome del padre non sia solo un retaggio patriarcale, ma pure “il modo affinché l’uomo non si limiti alle sue sole funzioni riproduttive”. E’ così? “No. Ma che ragionamento è?! Il figlio è legittimo presuntivamente. E il cognome paterno, non affiancato da quello materno, è un simbolo. A ogni modo, io penso che tutto cambierebbe, e verrebbe compreso, se l’asse si spostasse sui figli e sull’eguaglianza dei coniugi. Se anziché vedere i sessi in contrapposizione, si assumesse una visione triangolare”. Non c’è però il rischio che il dibattito sfumi nell’astrazione? A lungo si è discusso di “morte del padre”. E tuttavia oggi non solo la maternità, ma persino il desiderio di maternità, sono in crisi. Insomma, discettiamo di cognomi – paterni o materni – ma intanto padri e madri diradano. Si estinguono. Siamo troppo astratti? Siamo poco concreti? “Non c’è dubbio che la gravidanza sia inospitata nelle nostre società, costruite ancora a misura d’uomo”. A tale proposito, ha ragione chi in politica lamenta un paternalismo duro a morire? “Ha ragione. Che gli uomini siano disabituati a misurarsi con le donne è vero. Che siano paternalisti, lo è altrettanto. Ma le donne, comunque, avanzano”.

Leave a comment

Your email address will not be published.