L’inaspettato viale del tramonto di Fernando Zampedri

L’attaccante argentino del Católica, dopo anni a fare tanti gol nel campionato cileno, è arrivato in Nazionale. A 37 anni e con addosso la maglia della Roja

Tutto può accadere. Anche quando sei sul viale del tramonto. A Fernando Zampedri, 37 anni, due figli (Olivia e Donato), è capitato di fare l’esordio in Nazionale. Alla sua età, un record. È nato in Argentina. Gioca in Cile da cinque anni. Un mese fa gli hanno fatto firmare i documenti per prendere la cittadinanza e poterlo convocare per la sfida di qualificazione mondiale contro il Paraguay (persa 1-0). Benavidez, la moglie, era in tribuna con i loro bambini quando Fernando è entrato in campo: “Questo è un sogno che si avvera, qualcosa che non ci aspettavamo ma che meritiamo tutto, grazie ai tuoi sforzi instancabili e al tuo impegno”. Era il minuto 71. Zampedri è entrato, si è dimenato, si è goduto il momento. Lo aspettava da una vita.

Non tutti in Cile hanno preso bene la sua convocazione. Ivan Zamorano, una leggenda, 34 gol con la maglia della Roja, è stato molto duro. “Quello che trovo sorprendente è che chiamiamo o naturalizziamo un giocatore di 37 anni per giocare nella nostra Nazionale. Qualcosa non va”.

Mercoledì notte Zampedri è sceso ancora in campo, quattordici minuti, contro l’Ecuador. E spera in un’altra convocazione all’inizio di aprile. Ci sarà Cile-Argentina, il suo derby privato.





Zampedri lo chiamano Toro. Come Lautaro Martinez, che è argentino come lui. “Vengo da Chajarí, un paese nella provincia di Entre Ríos. Lì i bambini vengono chiamati gurí. E in Argentina e nelle zone dell’interno il calcio è lo sport che attira di più, quello che ci piace di più, per cui siamo più appassionati. E tutti i gurises di lì, la prima cosa che vogliono diventare è calciatore”.

A 17 anni lo portarono in Italia. Il Venezia vedeva per lui un futuro raggiante. Ma la stagione fu un fiasco, la squadra finì in C e anche i sogni di gloria di Zampedri finirono in fondo alla laguna. “Il club entrò in crisi. Avevo firmato un contratto, ma non mi potevano tesserare”, ha raccontato. Andò in Uruguay (Juventud de Las Piedras).

Tornato in Argentina, sentiva che il calcio gli stava sfuggendo dalla vita. “Tornai a casa, arrivai e dissi a mio padre che il calcio era molto difficile, molto crudele, molto duro, che non volevo continuare. Ho continuato a giocare per divertimento, perché amo il calcio, ma il livello professionale era troppo difficile. Bisognava fare cose per le quali a volte non si è preparati”. Cominciò a lavorare con il padre, che aveva un’azienda edìle. “Impastavo il cemento, portavo mattoni, facevo tutto. Lavoravamo in una casa e alla sera andavo ad allenarmi con il club del mio paese”.

Tutti hanno bisogno di una possibilità, anche i bomber minori.

La svolta nella carriera di Zampedri è arrivata in Cile, nel 2019. Toro era riuscito a diventare professionista a 21 anni, aveva fatto un giro nell’inferno della seconda e della terza divisione argentina, e nell’ultimo anno al Rosario Central (dove ha vinto il primo titolo della sua carriera) si era anche fatto male alla caviglia. All’Universidad Católica ci arrivò senza clamore. “Mi sono sentito un po’ sotto pressione. Non ero nelle mie migliori condizioni, mi mancavano ancora alcuni mesi di recupero alla caviglia e facevo molta fatica”.

Doveva essere l’ultimo tratto della sua carriera, invece è stata una rinascita.

Con la maglia del Católica, Zampedri ha segnato 122 gol in 200 partite, diventando il miglior marcatore negli 87 anni di storia dei Los Cruzados. Per cinque anni consecutivi è stato capocannoniere del campionato. E adesso è anche capitano. Mi godo il momento, ha detto, “e la domenica quando c’è la partita. Voglio segnare e, se non ci riesco, mi arrabbio. Ma non sento nessun tipo di pressione”.

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