L’analisi di Socialcom evidenzia come Giorgia Meloni domini i social media, con una crescita esplosiva di follower e un forte impatto, mentre altri leader come Salvini e Conte sono in declino. I social diventano un campo fondamentale per costruire consenso e influenzare l’opinione pubblica
Se si votasse solo sui social, Giorgia Meloni vincerebbe le elezioni senza bisogno di alleati. E’ questo il verdetto implicito che emerge dall’ultima analisi condotta da Socialcom con la piattaforma Socialdata, in esclusiva per il Foglio AI. Una ricerca che ha osservato, per un anno intero, l’andamento digitale dei principali leader politici italiani, incrociando follower, like, sentiment e parole chiave. Un monitoraggio costante di ciò che avviene sui profili, dentro le community, nel cuore dell’algoritmo. E a guidare la classifica, senza rivali, è proprio la premier.
Oltre due milioni e mezzo di nuovi follower in dodici mesi, distribuiti fra Instagram (+1 milione), TikTok (+800 mila) e X (+500 mila). Nessun altro leader cresce con la stessa velocità, e nessuno con lo stesso equilibrio su piattaforme così diverse tra loro. Non è solo popolarità: è architettura della presenza. Meloni non è dappertutto, è dove serve. E soprattutto dice quello che chi la segue si aspetta: orgoglio nazionale, istituzioni forti, sicurezza, determinazione. Una grammatica coerente, semplice, virale, che sa parlare alla pancia degli elettori. Eppure, la crescita non si accompagna solo a consensi. Meloni è anche il personaggio con il più alto volume di sentiment negativo. E’ la più amata e la più discussa. E’ il centro, e come ogni centro politico che governa, polarizza.
Subito dietro, non in termini di crescita ma di apprezzamento espresso, c’è Matteo Salvini, che si conferma campione assoluto di like su Instagram: 37 milioni in un anno, contro i 35 della presidente del Consiglio. Il leader della Lega funziona ancora dove si fa vedere, ma la sua traiettoria è ormai quella di una popolarità in decrescita costante, che vive di affezione ma fatica a rinnovarsi. Su Facebook è ancora forte, ma il social è in flessione per tutti, e Salvini lo sa: il suo stile diretto, semplificato, oggi corre più rischi che vantaggi. La velocità dei cambiamenti digitali e il bisogno di un continuo rinnovamento nei contenuti sembrano giocare contro la sua capacità di mantenere alta l’attenzione.
Il caso più interessante è quello di Antonio Tajani: non è il più seguito, non è il più cliccato, ma è il più apprezzato. Il sentiment positivo nei suoi confronti è il più alto fra tutti i leader. L’effetto istituzionale, pacato, rassicurante, ha un suo pubblico digitale che, pur non esplodendo in numeri da TikTok, mantiene coerenza e fiducia. E se anche non basta a vincere un’elezione vera, è un segnale. Perché l’elettorato moderato digitale, silenzioso e poco incline alla viralità, esiste. E apprezza.
Elly Schlein vive una crescita discreta su Instagram e Facebook, ma resta fragile su TikTok e X. Il suo racconto d’opposizione – tutto centrato su diritti, sanità, dimensione collettiva – funziona nelle bolle che già l’ascoltano, ma fatica a rompere le camere dell’eco. La parola chiave che più ricorre nei suoi post è “piazza”. Il suo pubblico c’è, è militante, ma non è ancora virale. Il salto dalla mobilitazione alla popolarità resta da compiere, e la sfida sarà riuscire a trasmettere quel messaggio a chi ancora non è dentro la sua “bolla”.
Giuseppe Conte, invece, è il grande regredente. Perde follower su Facebook e Instagram, e non compensa altrove. Parla di armi, spese militari, tagli alla sanità, e invoca il rapporto diretto con i cittadini. Ma sembra parlare a un pubblico che si è in parte spostato altrove, verso nuovi spazi politici e nuove figure. La sua lingua non si aggiorna, il tono non sorprende più, e l’algoritmo lo spinge meno. Nonostante sia stato un leader di grande impatto durante la pandemia, ora la sua posizione sembra più debole e distaccata dalla realtà digitale, che cambia rapidamente. Un segnale che forse la politica tradizionale, così come la conoscevamo, sta incontrando difficoltà nell’adattarsi ai nuovi tempi.
Gli outsider – Renzi, Calenda, Fratoianni – si ritagliano spazi di battaglia ben definiti. Renzi resta centrato su Europa e Stati Uniti d’Europa, con Meloni e Salvini come bersagli. Calenda affina la sua estetica del confronto: parlare, discutere, scrivete. Fratoianni insiste sul fronte identitario e sulle battaglie simboliche della sinistra più radicale. Tutti presenti, ma nessuno espansivo. Le loro voci trovano un pubblico di nicchia, ma non sono riusciti a sfondare il muro della popolarità virale. E poi c’è lei, l’intelligenza artificiale. Non solo come strumento d’analisi, ma come attore. “L’analisi dei dati social, supportata dall’intelligenza artificiale, non è solo uno strumento di osservazione”, dice Luca Ferlaino, fondatore di Socialcom. “E’ una bussola predittiva per comprendere l’evoluzione del consenso. La crescita dei follower, l’engagement e il sentiment non sono metriche astratte, ma segnali concreti di tendenza, percezione e potenziale elettorale”. In altri termini, chi domina i social oggi non sta solo facendo comunicazione: sta costruendo – nel bene e nel male – la sua prossima campagna. Ed è proprio questo il punto. Non si tratta di ridurre la politica a una sfida di click, ma di leggere la realtà con gli strumenti che la realtà stessa ha scelto. La politica oggi è una narrazione continua, e i social sono il luogo dove quella narrazione viene accolta, modificata, rilanciata. Chi non ci sa stare, semplicemente scompare. O viene spinto in fondo al feed.
Se si votasse domani, e si votasse solo con le dita, nei like e nei follow, la premier avrebbe già vinto. Salvini applaudito, Tajani stimato, Schlein ascoltata, ma ancora lontana. Conte in ritirata, gli altri in cerca d’autore. E l’AI, intanto, osserva. Anzi: anticipa.