Il legame tra il Colorado e il ritratto che il capo del Cremlino ha donato al presidente americano. Il tramite di Witkoff nel giorno in cui veniva aperta la chat houthi
Donald Trump ha ordinato la rimozione del suo ritratto dal Campidoglio del Colorado. Al presidente americano non è piaciuto come era stato rappresentato, ha trovato l’immagine brutta, non rispettosa del suo aspetto. Il capo della Casa Bianca è vanitoso e le lamentele per il ritratto hanno coinciso con la pubblicazione della storia di un altro ritratto del presidente che però finora hanno visto davvero in pochi. L’inviato speciale Steve Witkoff ha raccontato a Fox News di aver portato a Trump un quadro commissionato da Vladimir Putin e che il capo del Cremlino ha donato al presidente americano a titolo personale, come riconoscimento del loro rapporto. Putin ha commissionato il quadro a uno dei più noti artisti russi: il nome non è stato rivelato, ma la stampa russa si è lanciata alla ricerca del possibile pittore e lo ha identificato in Nikas Safronov, che ha ritratto anche Papa Francesco. Prima ancora che Trump si intestardisse contro il suo ritratto nel Colorado, a Putin non era sfuggita la potenza di un dono come un quadro. Nel rapporto con il presidente americano, il capo del Cremlino ha sempre lavorato su come compiacere la vanità del suo omologo: non a caso, nel giorno in cui ha rifiutato la proposta americana per il cessate il fuoco, ha indorato il rifiuto con un preambolo di ringraziamenti all’impegno che Trump sta profondendo nella pace. Ha capito che blandire e compiacere con il minimo sforzo è la chiave per una fiducia a oltranza e cieca.
Putin ha consegnato a Witkoff il quadro il 13 maggio: giorno del rifiuto del cessate il fuoco e dell’apertura della chat in cui le massime cariche americane con responsabilità sulla sicurezza, escluso il presidente, prendevano la decisione di attaccare gli houthi. Anche Witkoff, mentre era nelle stanze del Cremlino con Putin, è stato aggiunto alla chat per discutere di come colpire il gruppo terrorista yemenita che la Russia, secondo il Wall Street Journal, avrebbe aiutato a individuare e colpire le navi mercantili in transito nel Mar Rosso. Tornato da Mosca, Witkoff ha lodato Putin, ha detto che non ha intenzione di attaccare l’Europa, e ha abbracciato parte della propaganda russa sui referendum nei territori ucraini occupati, dimostrando quindi di credere alle parole del capo del Cremlino, proprio come fa il presidente americano.
Putin non è il solo ad aver capito la potenza dei doni da porgere a Trump, anche altri leader internazionali hanno omaggiato il capo della Casa Bianca con regali sbalorditivi: Netanyahu gli ha portato un cercapersone d’oro in memoria dell’operazione contro i miliziani di Hezbollah e anche Volodymyr Zelensky, proprio ispirato dal premier israeliano, era arrivato nello Studio ovale con in mano la riproduzione in oro della cintura del campione ucraino di pugilato Oleksandr Usyk. Non fece in tempo a consegnargliela che venne cacciato dallo Studio ovale dopo l’agguato del vicepresidente Vance. La cintura rimase su un tavolino fino a quando un inserviente della Casa Bianca non la portò nella stanza dei regali.
Putin ha osato più di tutti, non ha puntato sull’oro ma su un dono con un tocco confidenziale. Secondo il Times di Londra, il capo del Cremlino ha usato contro ogni presidente americano un’arma psicologica. Li ha studiati tutti: la religione per Bush, lo scontro per Biden, l’indifferenza per Obama e l’adulazione per Trump.